OSCAR 2018: preferenze e previsioni

Oscars 2018 90th

 

Come di consueto ecco l’immancabile post pre Oscar 2018.  La sfavillante notte delle stelle, giunta alla novantesima edizione, avrà luogo in quel di Los Angeles domenica 4 marzo. Anche quest’anno ho visionato i film principali e quasi tutti quelli selezionati per le sezioni attoriali e tecniche, ergo sono pronto per tentare di indovinare i vincitori per quasi tutte le categorie (niente canzone, documentari e corti). Tra i selezionati di quest’anno pare non mancare nessuno dei prodotti migliori (ad eccezione dello snobbatissimo e raffinato “Assassinio sull’Orient Express”). La sorpresa di quest’edizione ritengo sia “Scappa – Get out”, pellicola horror che ha racimolato ben 4 candidature, tutte nelle sezioni più importanti. Dopo averlo visto mi sto domandando come sia possibile ma a ben pensarci la tematica razziale piace sempre all’ambiente hollywoodiano e ci si fa sempre bella figura ad appoggiare il progetto di un regista di colore. La voce grossa la fa l’immaginifico film di del Toro che porta a casa ben 13 candidature (debbo rilevare che purtroppo han ricevuto nominations tutti gli attori della pellicola tranne l’unico che meritava davvero, il crudele Michael Shannon). A contendergli lo scettro saranno, con discreta probabilità, “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” e “Il filo nascosto” anche se comincio a sospettare che il gradevolissimo “Lady Bird”, in virtù del noto scandalo sessuale che ha travolto Hollywood lo scorso anno, potrebbe portare al trionfo la sua regista, Greta Gerwig. Non manca una piccola soddisfazione per l’Italia che vede “Chiamami col mio nome” di Luca Guadagnino (ne ha fatta di strada da “Melissa P.”), selezionato in diverse categorie (4). Tra gli altri contendenti potrebbero portare a casa qualcosa l’alterno drammone “Mudbound” e il biopic “I, Tonya”. Ho l’impressione che il notevolissimo “Dunkirk” resterà a bocca asciutta; mi auguro invece che “Blade Runner 2049” vinca un paio di premi nelle categorie tecniche. Temo che per i film d’animazione s’assisterà a un clamoroso scippo: l’innocuo “Coco” avrà la meglio sul geniale “Loving Vincent”? Se per la migliore attrice il verdetto pare già scritto, molta attesa viene riservata per il premio al miglior attore: riuscirà Daniel Day Lewis a fare il poker? Pochi dubbi ci sono anche per il vincitore nella categoria del miglior film straniero dalla quale sono stati fatti fuori all’ultima preselezione i due film migliori: il francese “120 battiti al minuto” e il tedesco “Oltre la notte”. Andiamo a cominciare (in arancio quelli che, immagino, verranno effettivamente premiati; la mia preferenza invece è in color turchese):

MIGLIOR FILM: tanto per essere chiari ritengo che “Blade Runner 2o49”, “Kong: Skull Island” e “Baby Driver” avrebbero dovuto essere inclusi in questa categoria. Partirei parlando del discreto “Scappa – Get-out” di Jordan Peele; sebbene sia ampiamente derivativo va dato merito al regista di aver saputo assemblare situazioni già viste in altri film integrandole con il tema razziale. Le sue possibilità sono nulle anche se questa, tra quelle ricevute, è la candidatura più meritata. “Lady Bird” di Greta Gerwig è un piccolo film di formazione che non spicca per particolari pregi se non quello di aver saputo cavalcare l’indignazione di Hollywood per lo scandalo molestie; normalmente non sarebbe stato notato da nessuno ergo le sue chances di vittoria sono bassissime. “Chiamami col tuo nome” di Luca Guadagnino è un film che ho trovato appena sufficiente e non capisco in virtù di cosa sia stato inserito nella lista dei magnifici nove. “Il filo nascosto” di Paul Thomas Anderson è un prodotto elegante e ben confezionato, nulla di clamoroso ma ha il suo perché. “The Post” è una buonissima pellicola di cronaca che ricorda il rimarchevole “Il caso Spotlight” e che avrebbe potuto essere maggiormente considerata anche nelle altre categorie (e lo dice uno che non ama particolarmente Steven Spielberg); non vincerà nulla ma almeno ha ricevuto l’onore d’esser nominata. “L’ora più buia” di Joe Wright sarà un film monocorde però non tradisce le attese e si fa apprezzare per la compattezza e per il rigore storico con il quale è realizzato. “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh: pungente commedia nera che è piaciuta moltissimo alla critica. Io l’ho trovato interessante, ben diretto e con un parco attori che ha offerto prove di grande livello, potrebbe essere il vincitore della categoria. L’altro favorito è La forma dell’acqua” di Guillermo del Toro già vincitore del Leone d’Oro a Venezia. Ho faticato a finirlo, questo significa che non è un prodotto nelle mie corde. La storia bizzarra, il ritmo soporifero e lo snodo amoroso sono tutti elementi che me l’hanno reso indigesto; non sono rimasto per nulla affascinato dal tentativo di farne una favola moderna. “Dunkirk” è il mio prediletto, un film di guerra dove di guerra ce n’é davvero poca però mette in scena un fascino e una messa in scena potentissime. La scelta di utilizzare pochissimi dialoghi accompagnati da una colonna sonora incalzante è stata vincente e la storia, quella vera, è sempre emozionante; sarebbe un vero peccato non premiarlo. Quest’anno la vittoria al “Critics’ Choice Movie Awards” come miglior film (nove volte su dieci seguito dall’Oscar) è andata a “La forma dell’acqua”, se tanto mi da tanto… Il mio tifo appassionatissimo va tutto per il magistrale

DUNKIRK

Dunkirk

Dunkirk

MIGLIOR REGIA: il frontrunner è uno e indiscusso, Guillermo del Toro; il suo “La forma dell’acqua” ha fatto il pieno di premi ovunque e quasi sempre la miglior regia è andata a lui. A mio parere il film non è tanto convincente e in questa categoria potrebbe scapparci la sorpresa. I concorrenti principali sono l’incommensurabile Christopher Nolan e l’emergente Greta Gerwig. Nolan è un mostro di bravura e “Dunkirk” è una vera perla ma il vento che spira da Hollywood potrebbe spingere l’Oscar nelle mani della Gerwig. Quale occasione migliore potrebbe esserci se non premiare “Lady Bird” per lenire il dolore e l’indignazione suscitati dallo scandalo delle molestie sessuali? Il mondo del cinema americano è bigotto, falsamente puritano e fa della demagogia la sua arma di seduzione, come non approfittare di una pellicola tutta al femminile per riparare i danni del suo star system maschilista? “Il filo nascosto” è affascinante e ben diretto ma il sempre lodevole Paul Thomas Anderson dovrà ripassare un’altra volta. Chiude la cinquina Jordan Peele con il suo horror-drama “Scappa – Get-out”. La domanda è: cosa ci fa qui? Se nella categoria “miglior film” poteva starci, anche visti gli ingenti incassi, in questa non ne vedo il motivo. La pellicola, di cui Peele è anche sceneggiatore, è assolutamente derivativa e non si distingue per geniali trovate registiche. Ennesima candidatura “politically “correct” e ruffiana da parte di Hollywood che deve inserire un autore di colore anche quando non merita. Io tifo alla grandissima per:

Christopher Nolan per DUNKIRK

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: come il prezzemolo Jordan Peele e il suo film “Scappa- Get-out” sono presenti anche in questa categoria, stavolta direi in modo immeritato. Stesso discorso vale per il duo Gordon-Nanjiani inseriti come riempitivo per la sciocca commedia sentimentale “The big sick”; si sarebbe potuto impegnare il loro posto con qualcuno di più valevole. Greta Gerwig e il suo “Lady Bird” qui paiono avere meno chances che altrove. La statuetta se la disputeranno sicuramente Del Toro-Taylor per il loro lavoro in “La forma dell’acqua” e Martin McDonagh per “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Il fatto che non sia stato inserito tra i migliori registi mi fa pensare che il premio andrà a McDonagh; il suo film è indubbiamente ben scritto e fa egregiamente quello che deve fare: tralascia un poco il lato thriller e si ben concentra sui rapporti interpersonali. Visti i titoli non entusiasmanti presenti mi schiero con

Martin McDonagh per TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI

Tre manifesti

Tre manifesti

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: mi pare che questa sia una di quelle categorie con il lotto più debole di partecipanti. Non posso dire nulla sul lavoro fatto da Mangold e soci su “Logan” perché non l’ho visto non amando le avventure di Wolverine e dei suoi amici mutanti. Posso invece affermare che James Ivory ha saputo fare molto di meglio rispetto a “Chiamami col tuo nome”, qui m’è sembrato molto sottotono. Dee Rees (qui anche regista) e Virgil Williams invece han messo troppa carne al fuoco in “Mudbound”; il romanzo di Hillary Jordan era complesso e loro non mi pare siano riusciti nell’opera di snellimento, infatti il film risulta greve, circonvoluto. Discorso opposto per Scott Neustadter e Michael H. Weber  che hanno fatto un buonissimo lavoro nella divertente commedia “The disaster artist”; hanno più di una possibilità di vittoria. Per ultimo ho lasciato il film che ho preferito: “Molly’s game”. Aaron Sorkin, qui anche alla regia, è uno che sa il fatto suo, ha già vinto nel 2011 per “The Social Network” e ha al suo attivo ottimi prodotti come “Codice d’onore”, “Malice”, “L’arte di vincere” e “Steve Jobs”. La pellicola merita ed è ben scritta perciò la mia preferenza va a

Aaron Sorkin per MOLLY’S GAME

MIGLIOR ATTORE: la battaglia quest’anno è ristretta a due grandi attori del cinema moderno ovvero il grande Daniel Day Lewis e l’encomiabile Gary Oldman. Day Lewis ha già vinto ben 3 Oscar come miglior attore protagonista (“Il mio piede sinistro”, Il petroliere” e “Lincoln”) e ha annunciato il ritiro dal mondo del cinema a soli 60 anni dopo questa prova. Il quasi coetaneo Oldman, a mio parere troppo spesso sottovalutato, è solo alla seconda nomination. La sensazione è che Oldman sia leggermente avanti per l’ineccepibile interpretazione di Winston Churchill e io non ne sarei affatto dispiaciuto nonostante l’elegante prova offerta da Daniel Day Lewis in “Il filo nascosto”. Incomprensibile la candidatura assegnata a Daniel Kaluuya per “Scappa – Get-out”; assolutamente nulla di trascendentale, niente che non si sia già visto in un qualsiasi film horror, immagino sia una di quelle selezioni “politically correct”. La quarta casella è occupata dal giovane Timothée Chalamet che vive un contrastato amore omosessuale nel film di Guadagnino “Chiamami col tuo nome”. La pellicola è così così e Chalamet niente di clamoroso, possibilità nulle per lui. Il quinto slot è andato piuttosto a sorpresa all’inossidabile Denzel Washington che ha scippato il posto al meritevole James Franco che era stato applaudito ovunque per la commedia “The disaster artist”. Personalmente premierei

Gary Oldman per L’ORA PIU’ BUIA

MIGLIOR ATTRICE: sebbene sia indubbio che l’astro nascente del cinema Hollywodiano, la splendida Margot Robbie, abbia offerto una buonissima prestazione in “I, Tonya”, è certo che il suo momento di gloria verrà negli anni a venire. Il ruolo di favoritissima grava sulle spalle della veterana Frances McDormand (già vincitrice nel 1997 per “Fargo”) per il convincente ruolo della mamma determinata in “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Alle sue spalle dovrebbe esserci Sally Hawkins che, per inciso, io ho trovato sopravvalutata per la sua recitazione piuttosto monocorde in “La forma dell’acqua”. La super sorpresa potrebbe arrivare dalla giovane e versatile Saoirse Ronan giunta alla sua terza nominations e già premiata a gennaio con il Golden Globe per l’insolito film di formazione “Lady Bird”. Anche quest’anno chiude il lotto la leggendaria Meryl Streep giunta alla ventunesima candidatura per la sua ineccepibile recitazione in “The Post”; non vincerà nemmeno quest’anno però il suo mito continua ad autoalimentarsi e ad accrescersi. Nell’incertezza indico la mia prediletta in:

Saoirse Ronan per LADY BIRD

Saoirse Ronan

Saoirse Ronan

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: miracoloso l’inserimento del veterano Christopher Plummer nella lista. Il nostro ha sostituito Kevin Spacey, travolto dallo scandalo molestie, nel film “Tutti i soldi del mondo” e ha rigirato le scene di Spacey poche settimane prima dell’uscita del film; era difficile non premiarlo con una nomination. Candidatura meritatissima che è andata anche a uno dei miei attori prediletti, quel Willem Dafoe protagonista del non irresistibile “Un sogno chiamato Florida”; poco probabile una sua vittoria, alla sua terza candidatura, ma non si sa mai. Il terzo nominato mi è incomprensibile; non che Richard Jenkins non si faccia rispettare ogni volta che appare sullo schermo però nel film di del Toro il suo “vicino di casa omosessuale” non è per niente memorabile. Il bravissimo Michael Shannon avrebbe dovuto essere al suo posto per lo sgradevole personaggio interpretato nella medesima pellicola. Veniamo ora alla doppietta di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, Sam Rockwell e Woody Harrelson. Nulla da dire, entrambi bravi: Harrelson intenso e drammatico, Rockwell stolido e camaleontico. Il frontrunner è Rockwell e io sono assolutamente d’accordo, un’interpretazione solidissima e molto convincente. Non posso che tifare per

Sam Rockwell per TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: Allison Janney ha offerto un’ottima prestazione in “I, Tonya” ed è la favoritissima in questa categoria ma per quanto mi riguarda potrebbe davvero vincere chiunque. Escludendo la prova marginale di Octavia Spencer (tra le attrici predilette dell’Academy e spessissimo presente nelle liste dei nominati) in “La forma dell’acqua” anche le altre tre concorrenti mi sono sembrate all’altezza. Mary J. Blige non è solo cantante e l’ha dimostrato nella sua intensa prova nel poco riuscito “Mudbound”. L’attrice teatrale Lesley Manville riceve la sua prima nomination per la parte della sorella di Daniel Day Lewis in “Il filo nascosto”; prestazione misurata ma marginale. Laurie Metcalf si contrappone/integra alla grande a Saioirse Ronan nella parte della mamma preoccupata in “Lady Bird”. Sono molto curioso di vedere chi la spunterà.

Laurie Metcalf per LADY BIRD

MIGLIOR FOTOGRAFIA: Rachel Morrison ha già raggiunto un grande traguardo: è la prima donna ad essere candidata in questa categoria. Ovviamente le possibilità di vincere per lei e per “Mudbound” sono nulle. L’esperto danese Dan Laustsen è alla sua prima candidatura per “La forma dell’acqua” ma è rinomato nell’ambiente per l’ottimo lavoro svolto in pellicole visivamente accattivanti come “Il patto dei lupi”, Crimson Peak” e “Silent Hill”. Il francese Bruno Delbonnel è alla sua quinta candidatura con “L’ora più buia” ed è sicuramente nelle mie simpatie perché tra i suoi lavori v’è l’indimenticabile “Il favoloso mondo di Amelie”. Ed eccoci a uno dei favoriti: Roger Deakins. Il nostro è giunto alla tredicesima candidatura senza aver mai vinto, che sia la volta buona con il visivamente mirabile “Blade Runner 2049”? A contendergli la vittoria c’è anche lo svizzero Hoyte van Hoytema alla prima candidatura per lo spettacolare lavoro svolto in “Dunkirk”. La sua fotografia ha reso vivida e pulsante ogni scena del film. Ho la netta sensazione che potrebbe essere l’anno di Deakins, anche se Delbonnel e van Hoytema…

Roger Deakins per BLADE RUNNER 2049

MIGLIOR SCENOGRAFIA: il duo Sarah Greenwood e Katie Spencer ha già ricevuto quattro nominations e questa volta aggiunge una doppia candidatura per “La bella e la bestia” e “L’ora più buia”; onestamente entrambi meritano molto e potrebbero pure spuntarla però i favoriti sembrano essere Dennis Gassner e Alessandra Querzola per la sontuosa messa in scena di “Blade Runner 2049”. Difficile che non sia la pellicola di Scott a spuntarla anche se gli elementi minimali de “La forma dell’acqua” potrebbero avere una qualche possibilità pur essendo realizzati da Paul D. Auterberry, famigerato scenografo di “Twilight”. Chiude la cinquina il duo Fettis – Crowley per “Dunkirk”; pur con tutto il bene che voglio a questo film non credo abbiano alcuna possibilità. La mia preferenza va a

Dennis Gassner e Alessandra Querzola per BLADE RUNNER 2049

Blade Runner 2049

Blade Runner 2049

MIGLIORI COSTUMI: doppia nomination per la costumista britannica Jaqueline Durran (vincitrice nel 2013 per “Anna Karenina”). “La bella e la bestia” e “L’ora più buia” sono le pellicole per le quali è stata candidata; voci di corridoio dicono che sarà lei a spuntarla. L’altro favorito è Mark Bridges che, come quando vinse per il raffinato “The artist”, ha preparato una gamma di vestiti davvero notevole per “Il filo nascosto”. L’irlandese Consolata Boyle, alla sua terza nomina, si propone anche quest’anno per i discreti risultati ottenuti in “Victoria & Abdul”, non credo abbia possibilità. Sarei molto sorpreso se l’esordiente Luis Sequeira portasse a casa la statuetta per “La forma dell’acqua”, ma mai dire mai. Il mio apprezzamento è per:

Mark Bridges per IL FILO NASCOSTO

MIGLIOR COLONNA SONORA: non mi spiego l’inserimento di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”; la sua colonna sonora è a dir poco inesistente. “Star Wars: gli ultimi Jedi” cala l’asso, John Williams, già cinque volte vincitore, non mi stupirei se la statuetta andasse a lui. Il mio timore è che il favore della giuria vada a Alexandre Desplat (già un Oscar per lui) per la sua colonna sonora anni ‘60 nel film “La forma dell’acqua”. Io l’ho trovata dimenticabilissima, spero non si compia questo misfatto. “Il filo nascosto” presenta un commento sonoro elegante in linea con il tono del film, buono il lavoro di Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead, ma non credo abbia possibilità. Ultimo ma mio preferito Hans Zimmer (una vittoria su dieci nominations) per l’incredibile lavoro fatto in “Dunkirk”. Considerando che la pellicola di Nolan è praticamente senza dialoghi e si regge tutta su un’incredibile colonna sonora che ne cadenza i momenti salienti con grande intensità e ritmo serrato, spero con tutto il cuore che porti a casa la statuetta. La mia preferenza va a:

Hans Zimmer per DUNKIRK

MIGLIOR MONTAGGIO: per quanto mi riguarda il nome vincente non può che essere solo uno ovvero Lee Smith, alla sua terza candidatura, per il grandissimo lavoro svolto in “Dunkirk”. Il montaggio, in un film costruito su tre scenari differenti come quello di Nolan, è stato determinante, sarebbe un delitto non premiarlo. Segue a poca distanza Sidney Wolinsky per “La forma dell’acqua”; le simpatie di cui gode questa pellicola potrebbero giocargli a favore. La sorpresa potrebbe essere il duo Amos-Machliss per “Baby Driver – Il genio della fuga”, film che è passato sotto silenzio ma niente affatto male. Ci sarebbe poi Jon Gregory per “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” ma il film di McDonagh non fa del montaggio la sua forza. Chiude il lotto “I, Tonya” che mi pare un titolo riempitivo.

Lee Smith per DUNKIRK

La forma dell'acqua

La forma dell’acqua

MIGLIOR MONTAGGIO SONORO – SONORO: entrambe le categorie vedono i medesimi candidati. Anche in questo caso la sfida parrebbe molto incerta, il solo “Baby driver” sembra non avere alcuna possibilità. A mio parere “La forma dell’acqua” e “Star Wars: gli ultimi Jedi” partono in seconda fila e a giocarsela saranno i miei due prediletti per questa novantesima edizione degli Oscar, ovvero “Blade Runner 2049” e “Dunkirk”. Entrambi mostrano un lavoro eccellente in questo comparto, specialmente per il film di Nolan che ha curato meticolosamente il comparto sonoro; non mi stupirei di veder assegnato un premio a testa con sonoro a “Blade Runner 2049” e montaggio sonoro a “Dunkirk”.

DUNKIRK e BLADE RUNNER 2049

 

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI: i contendenti qui sono agguerritissimi ed è difficile capire chi potrà spuntarla. “Star Wars: gli ultimi Jedi” fa la sua figura come tutti i film della saga; “Guardiani della galassia vol. 2” è ben realizzato ma pare il più debole del gruppo; “The war – Il pianeta delle scimmie” potrebbe avere diverse chances anche se credo che alla fine se la giocheranno il sontuoso “Blade Runner 2049” e  l’alquanto apprezzabile “Kong: Skull island”; il mio prediletto è

BLADE RUNNER 2049

 

MIGLIOR TRUCCO: tre i papabili in questa sezione e sono onestamente tutti meritevoli; immagino che l’Academy consegnerà la statuetta nelle mani di Arjen Tuiten per il lavoro svolto sul ragazzino malformato di “Wonder”, comunque anche “Victoria & Abdul“e, soprattutto, “L’ora più buia” col trio Tsuji, Malinowski, Sibbick, non ruberebbero nulla. La mia preferenza va a:

L’ORA PIU’ BUIA

MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE: sulla carta anche in questa edizione dovrebbe farla da padrona la Disney con il fiacco “Coco” ma c’è un ma… I sondaggi lo danno come grande favorito però un paio di fattori potrebbero generare una sorpresa: la pellicola è oggettivamente discreta ma non è niente di clamoroso e in più alla voce “produzione” reca il nome di John Lasseter, genio di casa Pixar autosospesosi per sei mesi per aver tenuto “comportamenti inappropriati” con alcune collaboratrici. In virtù di ciò la puritana Hollywood potrebbe far pagare il conto alla Disney premiando il simpatico toro “Ferdinand” o magari il magnifico “Loving Vincent”? Quest’ultimo è un piccolo gioiello che meriterebbe una grande riconoscimento. Chiudono il lotto, staccatissimi, lo sciocco “Baby Boss” che è stato inserito nel lotto a discapito del superiore “Lego Batman” e “The Breadwinner”, piccolo dramma a sfondo mediorientale co-prodotto da Angelina Jolie. Mancando un prodotto di casa Ghibli tiferò decisamente per:

LOVING VINCENT di Dorota Kobiela e Hugh Welchman

Candidati

Candidati

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ATLANTIDE E I MONDI PERDUTI di Clark Ashton Smith

Atlantide e i mondi perduti

Atlantide e i mondi perduti

Era possibile non scrivere un paio di righe su questa lieta novella? No, non lo era. In principio le voci di corridoio si rincorrevano vaghe e poco sicure però quel nome, Clark Ashton Smith, emergeva sempre più spesso. La notizia ora è certa: l’esimio curatore della collana Urania, Giuseppe Lippi, ha confermato nella pagina Facebook dedicata al progetto d’aver terminato la traduzione di diversi racconti del portentoso Clark Ashton Smith.

Facciamo un passo indietro: lo scrittore californiano, celebre per essere stato uno dei “tre moschettieri” della leggendaria rivista americana nata negli anni ’20, “Weird Tales”, è noto in Italia solo al ristretto pubblico del genere fantastico. Chiunque abbia mai letto qualche suo racconto non può non essere stato ammaliato dalla sua innata abilità nel creare storie avvolgenti, malinconiche, arcane, cupe, avventurose e sfavillanti tutte narrate tramite una prosa ricercata ed elegante, dotata di una prepotente capacità evocativa, prosa che costituisce la cifra stilistica di questo autore. Nell’arco di una decina d’anni Ashton Smith fu autore di oltre 100 racconti di varia lunghezza; in Italia il suo destino fu affidato alle mani della defunta MEB, casa editrice con sede a Torino, che raccolse molta parte dei suoi racconti in quattro volumi nel biennio 1978-‘79. In seguito, tra il 1986 e il 1992, furono Fanucci e Editrice Nord a dare alle stampe alcuni celeberrimi volumi divisi per “cicli”. Divennero così popolari per il pubblico degli appassionati italiani nomi come “Averoigne”, “Hyperborea”, “Zothique”, “Malneant” o “Xiccarph”.

Poseidonis

Poseidonis

Torniamo ora alla notizia iniziale: Lippi parla di “versioni integrali di alcuni racconti censurati da Weird Tales e i finali alternativi di altri1; il materiale sarebbe stato prelevato dai cicli di “Atlantide”, “Xiccarph”, “Zothique” e “Averoigne”. Il volumone, si parla di 600 pagine, seguirà quello dedicato a Robert E. Howard nella collana “Oscar draghi” per i tipi di Mondadori. Lippi aggiunge che se la raccolta avrà un buon successo è già pronto per una seconda infornata di racconti. Il libro s’intitola “Atlantide e i mondi perduti e sarà in vendita nelle prossime settimane di novembre. A mio avviso iniziativa lodevolissima che dovrebbe esser premiata da lettori di ogni tipo.

Atlantide e i mondi perduti” – di Clark Ashton Smith – Mondadori editore, pagine 620, 25 euro.

 

 

1 Cfr. https://m.facebook.com/Atlantide.Poseidonis

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The Good, the Bad, the Weird: “DEATH NOTE” (2017)

Death Note 2006

Death Note 2006

Alla fine del 2003 vedeva la luce in Giappone un manga che sarebbe diventato popolarissimo nello spazio di breve tempo, il suo nome era “Death Note”. Scritto da Tsugumi Oba e disegnato da Takeshi Obata riuscì a vendere la bellezza di 27 milioni di copie in cinque anni. Questo grande successo diede il via a light novels, dorama, un cartone animato e quattro film live action; i primi due, “Death Note” (2006) e “Death Note: the Last name” (2006), entrambi diretti da Shusuke Kaneko, seguivano piuttosto fedelmente l’andamento del manga (arrivando sino al termine della vicenda tra Light e L) con un leggero aggiustamento nella conclusione. Per chi non la conoscesse dirò che la storia narra le vicende di questo quaderno sovrannaturale, il Death Note, abbandonato sulla Terra dallo shinigami (divinità della morte) Ryuk e rinvenuto dallo studente modello Light Yagami. Il quaderno ha la proprietà di uccidere, entro 40 secondi, colui il cui nome verrà scritto sulle sue pagine mentre ne viene visualizzato il volto. Light lo userà per eliminare i peggiori criminali ma si farà prendere un po’ troppo la mano tanto da attirare le attenzioni della polizia che gli metterà alle calcagna il giovane, e misterioso, detective privato L.

Ho visionato entrambi i film e debbo dire che fanno onore al manga assestandosi su un buonissimo livello e in più propongono un personaggio, L (interpretato dal bravissimo Matsuyama Ken’ichi), dotato di un carisma e un fascino incredibili (da ammirare le scene in cui mangia mele o patatine), che da solo meriterebbe la visione. I fans del manga hanno apprezzato la trasposizione cinematografica lodandone fedeltà e ottima caratterizzazione dei due personaggi principali. Ovviamente consiglio a chiunque di reperire entrambe le pellicole (anche la terza, “L change the worLd” che, pur essendo uno spin-off, dà modo di rivedere all’opera L. Senza contare il bonus d’avere alla regia Hideo “The ring” Nakata).

Death Note 2017

Death Note 2017

Sono passati dieci anni dai primi due film giapponesi e gli americani, che avendo fiutato l’affare si erano assicurati i diritti tempo fa, sono giunti al dunque. Dopo diversi anni nei quali il progetto sembrava non partire più, è finalmente passato nelle sapienti mani della popolare piattaforma digitale Netflix che ne ha portato a termine la produzione con trasmissione prevista per il prossimo 25 agosto. Questa potrebbe sembrare una bella notizia ma leggendo i vari commenti in rete (e dopo aver visto il trailer), non pare sia così. La regia è stata affidata al buon Adam Wingard che ho apprezzato in “You’re next” (2011), molto meno in “The guest” (2014) e per nulla in “Blair Witch” (2016) ed il cast è composto da semi sconosciuti (Nat Wolff spicca per l’anonima presenza). Le polemiche in rete, whitewashing in primis (attori caucasici hanno preso il posto degli attori orientali presenti nella pellicola originale), si sono sprecate e Netflix s’è affannata a spiegare che “Death Note” sarà un adattamento e non un prodotto che seguirà fedelmente l’originale. Infatti tutta la vicenda è stata spostata da Tokyo a Seattle e calata in un contesto stelle e strisce. Wingard ha dichiarato a IGN che “Death Note è un qualcosa di talmente giapponese che non è possibile trasportare gli eventi in un altro posto sperando che tutto si sistemi da solo. Sono due mondi completamente differenti” e ancora: “più cercavo di rimanere fedele al materiale originale più me ne discostavo e le cose peggioravano”; tradotto in parole povere questo vuol dire grossi guai in vista! Capisco sia un adattamento ma allora perché mantenerne il titolo originale?? Mi pare quantomeno disonesto. Se l’intento è attrarre il pubblico degli amanti del manga non potrà che fallire! Verrà propinata una storia semplificata e grossolana di un tizio che ammazza persone scrivendo il loro nome su un quaderno, calata in un contesto che non c’entra nulla con la cultura in cui era radicato l’originale! Per esempio: come possono, in America, giustificare la presenza di uno “shinigami” (sono curioso di vedere quale espediente avranno utilizzato)? Dal trailer, a parte il carisma pari a zero del nuovo Light (Turner invece che Yagami) e alcune inesattezze, ho notato che L è di colore (tale Keith Stanfield)!! Perché?? Non ha alcun senso! Perché occorre sempre essere politicamente corretti (stessa porcheria che avevano fatto con la Torcia umana nello scadente “Fantastic 4”)? Prevedo un disastro su tutta la linea e mi auguro di non sbagliare; non se ne può più di vedere questi stupri legalizzati (qualcuno ha nominato “Resident Evil”?).

Ryuk

Ryuk

Su Netflix il 25 agosto 2017

Previsione:

ABSOLUTELY and TOTALLY BAD

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OSCAR 2017: preferenze e previsioni

oscars 2017

 

Come di consueto ecco l’immancabile post pre Oscar 2017. Quest’anno la scintillante “Big Night” è prevista per domenica 26 febbraio. Al solito ho visionato i film principali e tutti quelli contenenti i nominati per le sezioni attoriali perciò sono pronto a elencare le mie preferenze e previsioni per quasi tutte le categorie (niente documentari e corti). La selezione di quest’anno mi pare un poco deludente forse a causa delle polemiche dello scorso anno che hanno dato i loro (discutibili) frutti in questa edizione. Infatti c’è un numero spropositato di candidature per film e attori di colore, non sempre sorrette da motivi fondati e valori assoluti (qualcuno ha parlato di “Il diritto di contare”?). Le grandi produzioni si contano sulle dita di mezza mano e lo spazio vacante è stato occupato da film dal sapore indipendente. La grande sorpresa è il prodigioso musical “La la land” che è riuscito a eguagliare il record storico di nomination, 14, detenuto da “Titanic” e “Eva contro Eva”. A contendere la vittoria al film di Chazelle ci sono il drammatico “Manchester by the sea” e i due black drama “Barriere” e “Moonlight”. Inspiegabilmente è riuscita ad accumulare tante nominations anche un’altra pellicola black, l’insipido biopic “Il diritto di contare”. Occorre sottolineare come sia stato totalmente boicottato il film che avrebbe potuto contrastare “La la land”, “The birth of a nation”, imponente opera sullo schiavismo, affossata dalle polemiche attorno al suo regista e protagonista, Nate Parker, accusato (e assolto) di stupro in gioventù. Altro trombato di lusso è il leggendario Martin Scorsese che con il suo “Silence”, buon prodotto apprezzato dalla critica, ha raccolto la miseria di una sola candidatura. Molte polemiche si sono avute anche riguardo alla scelta della cinquina dei migliori film stranieri con esclusioni inesplicabili. C’è però anche un giusto risarcimento: nell’edizione scorsa lamentavo la peccaminosa assenza di nominations per il geniale “The lobster” del regista greco Yorgos Lanthimos; ecco che quest’anno è finito tra le migliori sceneggiature. Viste le pellicole presenti non mi spiego come il biopic “Genius” sia rimasto a mani vuote. Stesso discorso vale per l’ultimo Burton (“Miss Peregrine”) che almeno qualche nomina “tecnica” l’avrebbe meritata. Una delle favoritissime della vigilia, l’americana dal sangue vicentino Amy Adams, è addirittura finita fuori dalla cinquina dalle candidate come miglior attrice (“Arrival”). Anche un’altra favoritissima dalla critica, Annette Bening (“20th Century Woman”), non è stata inclusa nella cinquina delle migliori attrici. Che si alzi il sipario allora… (in arancio quelli che, immagino, verranno effettivamente premiati; la mia preferenza invece è in color turchese):

MIGLIOR FILM: i candidati quest’anno sono ben nove. Partirei dall’imbarazzante “Lion“ del regista teatrale John Crowley: un bimbo indiano si perde prendendo un treno per Calcutta e verrà adottato da una famiglia australiana. Lo definirei “demagogico, banale, noioso, furbo, compassato” e potrei continuare per diverse righe ma oggi sono magnanimo e mi fermo qui. Forse il peggiore del lotto. Ebbene si, c’è qualcosa che rivaleggia con “Lion” quanto a bruttezza, parlo del debolissimo “Il diritto di contare” (“Hidden figures”). La pellicola narra la storia lavorativa di tre donne di colore nell’America degli anni ’60 (sullo sfondo v’è la competizione degli USA con l’URSS per la corsa verso lo spazio); ma il tutto diviene mero pretesto per mostrare la condizione delle persone di colore in quegli anni. Peccato che la modalità scelta per mostrare tutto ciò sia a dir poco fastidiosa. Una pellicola che non va da nessuna parte, ingiustamente inserita in diverse categorie. Ho poche parole da spendere per “Hell or high water”, on the road drama che punta tutto sull’analisi sociale e i vasti paesaggi texani, notevole solo per le prove attoriali. Il film di guerra “La battaglia di Hacksaw Ridge” ha un buonissimo incedere per due terzi, con magnifiche scene di combattimento, peccato si perda nel finale un poco troppo “forrestgumpiano”; nessuna possibilità di vittoria. In quasi tutti i pronostici non rientra tra i favoriti il meritevole “Barriere” (“Fences”), adattamento dell’omonima opera teatrale di August Wilson. Non credevo un film del genere potesse piacermi tanto invece i lunghissimi e reiterati dialoghi non annoiano anzi nobilitano un prodotto assolutamente solidissimo; non ci fosse “La la land” tra i candidati avrebbe avuto diverse chances. Passiamo ora a un genere che negli ultimi anni viene gradito, e molto premiato, dall’Academy: la fantascienza. Ecco dunque lo stupefacente “Arrival” che reca la firma di Denis Villeneuve in calce. Il risultato è molto buono: non una fantascienza chiassosa, stolida e ipercinetica (“Transformers”) ma un qualcosa di cerebrale, intrigante, riflessivo e inusuale. Tratto da un racconto dell’acclamato Ted Chiang. Avrebbe pure il carisma necessario, purtroppo l’anno è quello sbagliato. “Moonlight”: black drama che è piaciuto moltissimo alla critica e, devo ammettere, anche a me. La dimostrazione di come riuscire a costruire un film raccolto, intelligente e interessante con poco budget e senza bisogno d’andare a picchiare sul tasto dell’effetto lacrima. Qualche, piccola, possibilità ce l’avrebbe pure, staremo a vedere. “Manchester by the sea”: una delle sorprese dell’anno, dramma familiare già molto applaudito al Sundance Film Festival. Malgrado l’incedere contemplativo e una certa placidità nello sviluppo che ne è anche l’atmosfera principale, si ha a che fare con un’opera molto ben diretta con indovinati inserti di musica classica e buone prove del cast. Anche questa pellicola ha il merito di evitare scorciatoie strappalacrime per arrivare al nocciolo della questione. Molto difficile ma potrebbe essere la sorpresissima. Per ultimo ho lasciato IL film, il prediletto da critica, cinefili e spettatori comuni, ovvero “La la land”. Non vedo chi o che cosa potrà togliere il premio come miglior film a questa meraviglia. “Arrival”, “Moonlight” e “Manchester by the sea” paiono i concorrenti più vicini ma non possiedono un briciolo della magia sprigionata dal musical-drama di Chazelle. Con questo film si ride, si riflette, si piange, si canticchia e ci si meraviglia. Come scrissi lo scorso anno anche stavolta non posso non menzionare la vittoria al “Critics’ Choice Movie Awards” come miglior pellicola (nove volte su dieci seguito dall’Oscar). La funzione del cinema, a dispetto di qualsiasi forma artistica assuma, è sempre stata quella di offrire uno sguardo “altro” sulla vita ergo il mio plauso e la mia preferenza vanno alla miglior sintesi possibile di tutto ciò:

LA LA LAND

La la land

La la land

MIGLIOR REGIA: fatti fuori in selezione i vari Ang Lee, Martin Scorsese, Pablo Larrain (questo a sorpresa) e Tom Ford, la scelta è ricaduta su ben quattro esordienti in questa categoria: Damien Chazelle, che si era già fatto notare con l’ottimo “Whiplash”, potrebbe ottenere la sua consacrazione grazie al convincente e scintillante “La la land”; il suo avversario principale dovrebbe essere il canadese Denis Villeneuve che con “Arrival” ha offerto un prodotto super. Credo meno, anche se i pronostici la danno ben quotata, a una vittoria del giovane Barry Jenkins alla sua seconda regia con “Moonlight”; troppo acerbo, vedremo per i prossimi anni. Chiude il quartetto esordiente il regista e sceneggiatore Kenneth Lonergan, autore non proprio rinomatissimo che ha pescato il jolly scrivendo e dirigendo “Manchester by the sea”; nessuna possibilità per lui. L’ultimo regista in concorso è il redivivo Mel Gibson, già vincente con “Braveheart – Cuore impavido” nel 1996, selezionato per “La battaglia di Hacksaw Ridge”. Non credo proprio lo vedremo trionfare. Il mio prediletto è:

Denis Villeneuve per ARRIVAL

Arrival

Arrival

 

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALEMike Mills, noto soprattutto per diversi video musicali e album cover art, ha fatto un encomiabile lavoro con l’interessante (e purtroppo passato inosservato) “20th Century Women“, qualche possibilità potrebbe pure averla. Kenneth Lonergan è candidato per “Manchester by the sea” anche in questa sezione; la pellicola non ha la sua forza nella sceneggiatura che pare piuttosto piatta e priva di picchi ma nella messa in scena; visti i non eccelsi trascorsi di Lonergan dubito vi sia una qualche possibilità di vittoria. Il contrario invece si può dire del geniale regista e sceneggiatore greco Yorgos Lanthimos che con “The lobster” ha creato qualcosa di veramente originale dove tutto funziona a dovere sino al brillante finale. Anche in questa sezione è presente “La la Land” con il suo demiurgo Damien Chazelle; immagino che alla fine sarà lui a spuntarla però credo sia il comparto dove questo grande film sia più debole; lo script funziona e possiede anche una conclusione non banale però potrebbe esser premiato l’estro greco. Ultimo della lista è Taylor Sheridan per “Hell or High Water”; la sua carriera è agli inizi, infatti prima di questa pellicola aveva realizzato solo la sceneggiatura di “Sicario”. Il film è scritto bene, rigoroso e con alcuni picchi di rilievo. Il premio per Sheridan è essere stato inserito nella categoria. Io tifo senza ritegno

Yorgos Lanthimos per THE LOBSTER

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: questa è una di quelle categorie con il verdetto già scritto. Luke Davies, poeta, scrittore e sceneggiatore, è finito qui piuttosto casualmente, il suo nominativo è stato in bilico sino all’ultimo momento. Il film da lui sceneggiato, “Lion”, è di bassissimo livello, non vedo alcuna chance di vittoria per lui. Eric Heisserer è la mente dietro l’adattamento del racconto di Ted Chiang che ha dato vita a “Arrival”. Heisserer era noto fino a oggi solo per sceneggiature horror (“Nightmare”, “La cosa”, “Lights out”) e non credo proprio ce la possa fare nonostante la bontà del suo operato. August Wilson, nonostante sia deceduto nel 2005, è stato accreditato come sceneggiatore di “Barriere”. Sua era l’omonima opera teatrale, premio Pulitzer per la drammaturgia, da cui il film di Washington ha preso vita. Per me è il vincitore annunciato. Incredibilmente è stato inserito nella cinquina il duo Allison Schroeder (nota per aver scritto nientepopodimeno che “Mean Girls 2”) – Theodore Melfi (noto per… per… no, non è noto) responsabile per quell’orrore che risponde al nome di “Il diritto di contare”. Impossibile vincano loro. Chiudono il lotto gli esordienti Barry Jenkins e Tarell McCraney nominati per il notevole lavoro fatto in “Moonlight”. Vale anche per loro il discorso già fatto per altri: l’inclusione nei magnifici cinque deve essere già motivo di grande soddisfazione. Il mio prediletto è

August Wilson per BARRIERE 

 

MIGLIOR ATTORE: i pronostici sembrerebbero tutti in favore del bravo Casey Affleck; in “Manchester by the sea” offre una stimabile prestazione anche se a me è parsa monocorde. Certo il suo personaggio consumato dal dolore e dalla colpa richiedeva una recitazione sommessa e costantemente catatonica ma è proprio per questo motivo che mi pare sia stato agevolato nella costruzione del personaggio. Il suo grande avversario parrebbe essere Denzel Washington il quale, a mio parere, offre una performance eccezionale in “Barriere”: ininterrottamente in scena per due ore, tutte dense di dialoghi, conferisce vita a un personaggio che appare immediatamente reale e vivido; sarebbe il suo terzo Oscar e sarebbe un peccato non premiarlo. Fino a quando non ho visto “Barriere” ho continuato a pensare: “Ryan Gosling è un attore che mi piace molto e in “La la land” balla e canta, chi potrà mai sfilargli il premio?”. Tutto vero ma mi pare un gradino sotto a Washington, alla pari con Casey Affleck; non credo sarà il suo anno. Le ultime due caselle sono dei classici “rimpitivi”: se il buon Viggo Mortensen se la cava egregiamente nell’interessante “Captain Fantastic”, il giovane Andrew Garfield lascia perplessi per la sua poco convincente recitazione nel film di Gibson; probabilmente al suo posto avrebbe dovuto esserci il boicottatissimo Nate Parker. Mi auguro che il premio vada all’impetuoso

Denzel Washington per BARRIERE

Casey Affleck e Lucas Hedges

Casey Affleck e Lucas Hedges

MIGLIOR ATTRICE: tanto per essere chiari bisogna ammettere che “Loving” è un film bello e interessante e che l’emergente Ruth Negga può degnamente stare in questa cinquina; il problema è che ha inaspettatamente preso il posto della bravissima Amy Adams, clamorosamente esclusa per motivi ignoti. Il ruolo di favorita passa dunque a Emma Stone (seconda nomination e vincitrice della Coppa Volpi come miglior attrice al Festival di Venezia) che in “La la land” balla e canta, cosa non da poco. Io l’ho sicuramente apprezzata ma l’interpretazione della sua rivale numero uno, la bravissima Natalie Portman, è impressionante, molto misurata e perfettamente centrata. “Jackie”, che a tratti è sfiancante, si regge totalmente sulla sua ottima prestazione. Meritatissima la candidatura per una veterana come la francese Isabelle Huppert che nel controverso “Elle” si ritaglia un ruolo difficilmente dimenticabile. Ultima ma non ultima la divina Meryl Streep giunta alla ventesima candidatura per la sua buonissima recitazione in “Florence”. Non vincerà però fa piacere vederla nella cinquina. Categoria che ritengo alquanto incerta, la mia prediletta è:

Natalie Portman per JACKIE

 

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: la nomination per Mahershala Ali è meritata però potrebbe scontare il fatto che la sua parte in “Moonlight” copre solo la prima parte della pellicola. Quella per Jeff Bridges in “Hell or High Water “ pare meramente celebrativa dato che il suo ruolo non è così incisivo e poteva essere sviluppato meglio. Veniamo ora alle polemiche suscitate dal terzo nominato del lotto, Dev Patel. In “Lion” è effettivamente il protagonista unico e da metà film in poi c’è solo lui sullo schermo, l’inserimento in questa categoria è quantomeno forzato. Temo che grazie a questo espediente la sua discutibile interpretazione lo porterà alla vittoria. Il giovanissimo Lucas Hedges strappa una nomination per la sua discreta prova in “Manchester by the sea” e dovrebbe già essere contento così. Chiude il lotto il bravissimo Michael Shannon che grazie al suo sceriffo malato terminale in “Animali notturni” si fa apprezzare non poco. Siccome amo quest’attore e ritengo che sia la cosa che si ricorda maggiormente in “Animali notturni” non posso che tifare per

Michael Shannon per ANIMALI NOTTURNI

Michael Shannon

Michael Shannon

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: per me questa è una categoria di facile attribuzione. L’imbolsita Nicole Kidman è stata inserita per un motivo a me ignoto, in “Lion” svolge un compitino senza spiccare particolarmente. Lo stesso dicasi per Michelle Williams, alla quarta nomination come la Kidman, che a parte una scena di isterismo e un pianto nel finale di “Manchester by the sea”, non offre nulla di sorprendente. Per quanto riguarda l’insulso “Il diritto di contare” credo vi sia stato uno scambio di persona: la candidata avrebbe dovuto essere Janelle Monáe e non l’anonima, almeno in questo caso, Octavia Spencer. Riceve la sua prima nomination la brava attrice britannica Naomi Harris che offre una prestazione di breve durata ma incisiva, la madre problematica del protagonista, in “Moonlight”. A meno di sorprese clamorose la statuetta è già nelle mani di una strepitosa Viola Davis (alla sua terza candidatura). La sua recitazione in “Barriere” è quasi pari a quella della sua controparte maschile. In questo affilatissimo dramma dell’anima il suo ruolo è di un’intensità e coraggio stordenti. Sarebbe grave non premiarla nonostante occorra ammettere che il suo ruolo sia effettivamente quello di “attrice protagonista” e non quello di “supporter”.

Viola Davis per BARRIERE

Viola Davis

Viola Davis

MIGLIOR FOTOGRAFIA: Bradford Young, giovane e alla sua prima nomination per “Arrival”, potrebbe avere possibilità in una categoria dove c’è molto equilibrio. L’australiano Greig Fraser, noto per la magnifiche immagini di “Bright Star”, è forse il contendente più debole coi toni neutri e le luci polverose messe in campo per “Lion”; non credo sarà il vincitore. E’ incredibile come James Laxton, anche lui alla sua prima candidatura, con le sue luci color terra e i blu notte, abbia reso vivace una pellicola malinconica come il convincente “Moonlight”; diverse chances per lui. L’unica candidatura per Scorsese e il suo “Silence” è in questa sezione ed è firmata dal messicano Rodrigo Prieto. La sua fotografia è spettacolare e rende vividissima ogni scena del film. Ho la netta sensazione che potrebbe farcela. Non poteva mancare anche qui una candidatura per “La la land”; il fotografo svedese Linus Sandgren ha indubbiamente fatto assai bene nella pellicola di Chazelle e le ha conferito quell’aria da cartolina retrò che tanto ha incantato pubblico e critica di tutto il mondo. Anche lui se la gioca per la vittoria.

Rodrigo Prieto per SILENCE

 

MIGLIOR SCENOGRAFIA: sulla carta anche in questa categoria dovremmo assistere alla vittoria di “La la land” che indubbiamente è assai meritevole. L’incognita è rappresentata dal duo Pinnock-Craig, entrambi con una statuetta vinta, che si sono fatti notare per il bel lavoro svolto in “Animali fantastici e dove trovarli”, film altrimenti dimenticabilissimo. Diverse possibilità anche per i due fantascientifici “Arrival” e “Passengers”. Per ultimo il duo Nancy Haigh, sei volte nominata e una volta vincitrice (“Bugsy”) e Jess Gonchor, seconda nomination, selezionati per la commedia dei fratelli Coen “Ave, Cesare!”. Voci di corridoio dicono che potrebbe essere premiato a sorpresa.

Sandy Reynolds-Wasco e David Wasco per LA LA LAND

Moonlight

Moonlight

 

MIGLIORI COSTUMI: la costumista britannica Joanna Johnston ha lavorato in decine di film (“Lincoln”, “Munich”, “Love actually”, “Forrest Gump”, “Salvate il soldato Ryan”, ecc) e giunge alla sua seconda nomination per il bellico “Allied – Un’ombra nascosta”); a me pare il risultato sia di grande livello. La sua rivale numero uno è la veterana Colleen Atwood che può contare su 12 nominations e ben 3 vittorie e stavolta è candidata per il prolisso “Animali fantastici e dove trovarli”. Attenzione anche all’irlandese Consolata Boyle, alla sua seconda nomina, che s’è ben comportata in “Florence”. Il lavoro più raffinato a mio parere è stato fatto da Madeline Fontaine, costumista francese nota per il “Il favoloso mondo di Amelie”, qui alla sua prima nomination per “Jackie”. Per ultima un’altra potenziale vincitrice, Mary Zophres; la costumista d’origine greca è al suo secondo tentativo con “La la land”. Anche in questo caso mi pare vi siano almeno un paio di pellicole più meritevoli. Il mio apprezzamento va per:

Madeline Fontaine per JACKIE

MIGLIOR COLONNA SONORA: non mi spiego l’inserimento di film come “Lion” e “Moonlight”,in questa sezione; la loro colonna sonora è molto minimale e non si fa particolarmente ricordare; avrei invece preferito vedere “Manchester by the sea” che presenta una selezione di classe. Il favorito non può non essere l’unico musical presente, ovvero “La la land”, che fa proprio della colonna sonora il suo pezzo forte. L’avversario più agguerrito pare “Jackie” che conta su una sorprendente musicalità oscura. L’ultimo candidato è Thomas Newman, già nominato ben 12 volte e mai vincente, ce la farà questa volta grazie a “Passengers” (film impresentabile con una bella colonna sonora). La mia preferenza va a: 

LA LA LAND

La la land

La la land

MIGLIOR MONTAGGIO: quest’anno la lotta pare meno serrata in questa categoria, difficilmente “La la land” non la spunterà, soprattutto se si innescherà il meccanismo della “pellicola pigliatutto”. Il western suburbano “Hell or High Water” offre un montaggio ritmato con tempi ben scanditi a cura del giovane inglese Jake Roberts alla sua prima candidatura; non ci sono chances per lui. Per “Moonlight” è stata nominata una coppia che attraverso campi e controcampi con lenti movimenti di camera ha saputo donare grande uniformità alla pellicola: Joi McMillon, prima donna afroamericana nominata in questa categoria e Nathaniel “Nat” Sanders, trentaseienne di belle speranze anch’esso alla sua prima nominations. Anche per loro non vedo alcuna possibilità. Il montaggio accurato e poco invasivo presente in “Arrival” potrebbe portare alla vittoria Joe Walker, esperto montatore britannico che vanta già una nomination nel 2012. John Gilbert, anche lui alla seconda candidatura, è il responsabile per l’ardito montaggio dotato di magistrali stacchi di “La battaglia di Hacksaw Ridge”. Per finire ecco il favoritissimo Tom Cross, già vincitore dell’Oscar nel 2015 sempre per un film di Chazelle (“Whiplash”), che ha saputo rendere favoloso “La la land” mescolando magnifiche scene in pianosequenza (vedere l’inizio in autostrada per credere) con un sapiente lavoro di incastro tra balli e momenti recitati; il tutto amalgamato in maniera armonica e priva di imperfezioni. Il risultato è pura magia..

Tom Cross per LA LA LAND

 

MIGLIOR MONTAGGIO SONORO – SONORO: il Montaggio Sonoro vede come grande favorito l’onnipresente “La la land” ma l’australiano Andy Wright potrebbe spuntarla grazie all’accurato lavoro svolto in “La battaglia di Hacksaw Ridge”. Qualche possibilità anche per il fantascientifico “Arrival”. Sicuramente al palo resteranno “Sully” e “Deepwater”. Per il Sonoro invece il verdetto è scritto, Steven Morrow e “La la land” trionferanno com’è giusto che sia. Nessuna possibilità per “La battaglia di Hacksaw Ridge” e “Arrival”. “Rogue One: a Star Wars Story” e “13 hours” sono state inseriti come premio di consolazione (sia Star Wars che M. Bay non sono mai piaciuti all’Academy).

LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE e LA LA LAND

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI E TRUCCO: i probabili contendenti per la statuetta dorata per gli Effetti Speciali sono “Rogue One: a Star Wars Story” e “Il libro della giungla”; se è vero che l’Academy non ama la saga di Star Wars allora sarà “Il libro della giungla” a trionfare. Attenzione però a “Doctor Strange”. Nessuna chance per “Kubo e la spada magica” e “Deepwater”. I candidati per il miglior trucco sono tre e almeno uno di questi, l’alquanto gradevole “A man called Ove”, non ha ragione d’esser stato inserito in questa sezione. “Suicide Squad”, con gli italiani Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini ai comandi, dovrebbe avere la meglio su “Star Trek Beyond”.

DOCTOR STRANGE e SUICIDE SQUAD

 

MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE: forse la categoria con il risultato più scontato in assoluto insieme a quella per il “miglior film”. Nulla potrà fermare il piccolo capolavoro Disney che risponde al nome di “Zootropolis” dall’aggiudicarsi l’ambita statuetta; mai premio fu più meritato. Sempre Disney è il campione di incassi “Oceania” che fa dei soldi guadagnati al botteghino il suo unico pregio. Io l’ho trovato deludente al pari di “La mia vita da zucchina”, animazione in stop-motion dalla Svizzera. Qualcuno l’ha definito “tenero” ma un cartone animato, perché di questo si tratta, a mio parere dovrebbe essere anche gradevole da “guardare” e questo è decisamente troppo grezzo. Chiudono il lotto il discreto “Kubo e la spada magica” e l’applauditissimo “La tartaruga rossa”, ultimo poetico lavoro di casa Ghibli che per questa edizione ha confezionato un film muto. Se sorpresa deve essere, speriamo ricada sull’affascinante pellicola giapponese. Stavolta vado con la Disney:

ZOOTROPOLIS di Byron Howard e Rich Moore

Zootropolis

Zootropolis

MIGLIOR FILM STRANIERO: le vie dell’Academy sono inaspettate, infatti i due migliori film stranieri dell’anno, il cileno “Neruda” di Pablo Larrain e il torbido thriller “Elle” di Paul Verhoeven sono stati esclusi tra l’incredulità generale lasciando campo aperto al tedesco “Vi presento Toni Erdmann”, una commedia drammatica che ha già fatto incetta agli European Film Award. Gli altri due contendenti principali per la vittoria sono “Il cliente” (ispirato a “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller) dell’iraniano Asghar Farhadi, già vincitore dell’Oscar nel 2012 col notevole “Una separazione” e lo svedese “A man called Ove”, un altro drammatico molto ben confezionato che riesce a far riflettere e sorridere con grande facilità. Nelle retrovie, con pochissime speranze, il film bellico danese “Land of mine” e il drammone “Tanna”, prima pellicola australiana della storia a ricevere una nomination e unico del lotto che non sono riuscito a visionare. Io ho trovato assolutamente pregevole il vecchietto irascibile de:

A MAN CALLED OVE di Hannes Holm 

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OSCAR 2016: preferenze e previsioni

2016

Nonostante il tempo libero a mia disposizione sia ben poco non posso proprio rinunciare al classico post in vista della “Big Night”; infatti gli Oscar 2016 verranno assegnati domenica 28 febbraio. Essendo riuscito, come sempre, a visionare tutti i film principali eccomi pronto a indicare le mie preferenze e previsioni per quasi tutte le categorie (come al solito niente documentari). La selezione di quest’annata propone film di livello, inclusa la sorpresissima “Mad Max: Fury Road” che ha fatto incetta di candidature; da dita negli occhi sono le inspiegabili esclusioni (figurarsi se potevano ambire al premio principale due film che presentano rispettivamente un amore lesbo e il primo cambio di sesso accertato della storia) dalle categorie MIGLIOR FILM e MIGLIOR REGIA di due delle migliori pellicole in assoluto: “Carol” dell’eccellente Todd Haynes e il biopic “The danish girl”. Tanto per essere chiari confesso che avrei assegnato entrambi i premi principali a “Carol”. Peccaminosa anche la mancanza assoluta di nominations per il geniale “The lobster” del regista greco Yorgos Lanthimos (correte subito a recuperarlo!). Dunque, tastiera in posizione e comincino le danze (in arancio quelli che, a parer mio, verranno effettivamente premiati, la mia preferenza invece è in color turchese; come al solito in blu personaggi e film con scheda “linkata” cliccabile):
MIGLIOR FILM: i candidati quest’anno sono otto. Partiamo da “Brooklyn“ del regista teatrale John Crowley: nettamente il più debole del lotto, tutto imperniato su una storia banale nella quale la fortunata protagonista immigrata troverà la felicità dopo varie peripezie. Stupefacente la sua presenza in questa categoria. “Room”: tratto da un romanzo assai venduto di Emma Donoghue regala una prima metà strepitosa per poi perdersi nel classico “compitino” nella seconda parte; non possiede sufficiente “carisma” per puntare alla statuetta d’oro. “Il ponte delle spie”: film che m’ha deluso e annoiato assai, dovessi definirlo con tre aggettivi sceglierei: compassato, intricato ed elefantiaco. Credo sia stato incluso solo come omaggio al suo regista, il potente Steven Spielberg. “The martian – Sopravvissuto“: negli ultimi anni le pellicole fantascientifiche sono tornate molto in auge grazie ai recenti trionfi di “Avatar” e “Gravity”, ecco dunque perchè un buon film come questo, una sorta di “Castaway” (on Mars) spaziale, s’è trovato diverse candidature sul capo; forse una parte del merito va al suo esimio regista, il sempreverde Ridley Scott. “La grande scommessa”: pellicola che si avvale di un gran bel cast (Bale, Gosling, Carrell), di una regia spigliata, di una storia (drammaticamente) vera e di un buonissimo ritmo; sicuramente non vincerà, non è uno di quei prodotti ad ampio respiro, però è una prova di valore. Veniamo ora a quelli che mi paiono i tre pezzi grossi del lotto cominciando con uno dei due che m’è piaciuto di più: “Il caso Spotlight”. Classico film d’inchiesta come solo gli americani sanno fare; ricorda “Tutti gli uomini del presidente”, con un andamento serrato, una storia coinvolgente, attori bravissimi e una regia misurata, mai invadente o sopra le righe. Non è il favorito però ha tutte le carte in regola e ha vinto il “Critics’ Choice Movie Awards” (otto volte su dieci è stato seguito dall’Oscar).“The Revenant – Redivivo”: ecco, ahimè, il probabile vincitore. Il furbo regista messicano Iñárritu quest’anno propone un energico polpettone che affonda le radici nella storia americana. Ne esce un affresco alla “Balla coi lupi” che fa della vendetta e dei grandi spazi silenziosi la sua ragion d’essere. Buono ma nulla di clamoroso. Per ultima la sorpresona, ovvero “Mad Max: Fury Road”. Chi mai si sarebbe aspettato tante candidature per un film di questo genere? Un’opera post apocalittica realizzata con grande maestria e amore per la settima arte; l’aggettivo più calzante per inquadrare degnamente questo gioiellino è “epico”. Il mio entusiasmo e la mia preferenza vanno a:

 
MAD MAX: FURY ROAD

 

MIGLIOR REGIA: qui la situazione parrebbe piuttosto fluida, il riconoscimento dovrebbe andare ad Alejandro Iñárritu il quale potrebbe essere il terzo regista della storia a vincere due oscar consecutivi per la miglior regia (John Ford e Joseph L. Mankiewicz). La grossa sorpresa però potrebbe essere dietro l’angolo: George Miller! E’ incredibile pensare che l’ideatore della saga di Mad Max abbia oggi 71 anni; quest’ultimo capitolo ha del miracoloso, e’ di una freschezza e magniloquenza sconcertanti. Qualche possibilità si dice che l’abbia pure Tom McCarthy per l’eccelso “Il caso Spotlight” e, visto quanto m’è piaciuto, non storcerei il naso. Escluderei la vittoria dell’acerbo Adam McKay (“La grande scommessa“) che nell’ultima settimana viene però dato in ripresa. Per l’irlandese Lenny Abrahamson e il suo “Room” è già stato un successo essere incluso nella cinquina. Il mio preferito:

 
Tom McCarthy per IL CASO SPOTLIGHT

Il caso Spotlight

Il caso Spotlight

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: Berloff, Henman, Leight Savidge e Wenkus han fatto un bel lavoro con l’interessante (e purtroppo passato inosservato) biopic “Straight Outta Compton“ ma non vinceranno a causa della ristrettezza dell’argomento trattato (un film su una band di colore non può attrarre molte simpatie tra i membri dell’Academy). Charman e i fratelli Coen firmano un film (“Il ponte delle spie”) troppo “molle” e privo di picchi, pochissime possibilità per loro. “Inside out”: che ci fa qui questa “cosa”? Film corredato da una sceneggiatura che pare scritta da un gruppo di bimbi di otto anni. Quello che non mi spiego è: perché non includere al suo posto il buon Tarantino col suo intrigante “The Hateful Eight”? Tom McCarthy e Josh Singer potrebbero essere i vincitori per il loro magnifico operato sul “caso Spotlight” (rigoroso, affilato e scritto benissimo). Per ultimo ho lasciato quello per cui tifo, il giovane prodigio Alex Garland (c’è lui dietro alle sceneggiature di “28 giorni dopo” e “Sunshine”). Il suo fantascientifico “Ex Machina”, di cui è anche regista, è un grande esempio di scrittura: raccolto, scaltro e teso. Tenderei a preferire (di poco su Spotlight):

 
Alex Garland per EX MACHINA

 

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: Nick Hornby è un valente scrittore ma “Brooklyn” è un pessimo film corredato da una storia eccessivamente semplicistica. Il talentuoso Drew Goddard (“Quella casa nel bosco” è farina del suo sacco) s’è trovato a dover lavorare su una sceneggiatura troppo derivativa (“Sopravvissuto – The martian”) per aver possibilità di vittoria. Emma Donoghue è anche l’autrice del libro da cui “Room” è tratto e non vincerà a causa dell’eccessiva discontinuità del suo racconto. Charles Randolph e Adam McKay sono indubbiamente brillanti e han realizzato una sceneggiatura di sommo livello; rendere intelligibile un campo gravido di tecnicismi come quello della borsa e dei mutui era impresa non facile. Saranno loro con “La grande scommessa” i vincitori. Per ultima ecco Phyllis Nagy che ha ridotto con grande raffinatezza “Carol”, celebre romanzo di Patricia Highsmith. Il mio prediletto dovrebbe coincidere con quello dell’Academy:

 
Charles Randolph e Adam McKay per LA GRANDE SCOMMESSA

 

MIGLIOR ATTORE: come l’anno scorso (Matthew McConaughey) e quello precedente (Eddie Redmayne) il verdetto parrebbe già scritto: Leonardo Di Caprio, alla quinta nomination, dovrebbe finalmente portarsi a casa l’agognata statuetta. Il suo inteso “Redivivo” avrebbe tutte le carte in regola ma… la splendida interpretazione di Eddie Redmayne in “The Danish Girl” è impressionante e potrebbe creargli qualche problema. “Steve Jobs” è un biopic di stampo teatrale che si regge sulla presenza scenica, sul carisma e sulla bravura di Michael Fassbender, attore che ha raggiunto un altissimo livello di recitazione; non mi stupirei se fra i due litiganti fosse lui a spuntarla. Buona la prova dell’istrionico Bryan Cranston nel biografico “L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo”; la sua inclusione nella cinquina è già un bel premio. Il simpatico Matt Damon, alla quarta candidatura, non ha alcuna ambizione di vittoria col suo “Sopravvissuto – The Martian”. La mia preferenza va a:

 
Eddie Redmayne per THE DANISH GIRL

Eddie Redmayne

Eddie Redmayne

MIGLIOR ATTRICE: la candidatura a Jennifer Lawrence, la quarta negli ultimi sei anni, mi pare un tantino esagerata; il film che la vede protagonista, “Joy”, non è nulla di clamoroso e lei propone una recitazione nella media. Bella e brava, niente da dire, ma non per questo deve essere candidata ogni anno. Saoirse Ronan: per me è un altro grosso mistero! “Brooklyn” è imbarazzante e la sua interpretazione altalenante, perché non inserire la bravissima Rachel Weisz (“The lobster”) al suo posto? Brie Larson: la vincitrice annunciata per il suo angosciante ruolo in “Room”. Di sicuro è meritevole, nulla da dire, però sua maestà Cate Blanchett fornisce l’ennesima prova di spessore; in “Carol” è pazzesca, comunica col solo movimento del corpo, senza bisogno di parlare. L’ultima del lotto è un’altra favolosa attrice, la britannica Charlotte Rampling. Incredibile come non sia mai stata candidata all’Oscar prima d’ora. “45 anni” è un prodotto di buon livello e lei recita con intensità e classe assolute; meriterebbe un riconoscimento. Non posso non dare la mia preferenza a:

 
Cate Blanchett per CAROL

 

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: che categoria complicata questa! Quantomeno lo è per me, poiché l’Academy sembrerebbe aver già deciso. Questo è uno di quegli Oscar sicuri al 99%, tutti i siti specializzati dicono che “Creed” porterà Sylvester Stallone vittoria. Il film l’ho visto, è discreto e lui è indubbiamente bravo, ma c’è di meglio e aggiungo: è mai possibile che premino di nuovo un attore che ha a che fare col pugilato (C. Bale nel 2011)? Christian Bale fornisce l’ennesima prestazione di livello; il suo genietto disadattato, volutamente sopra le righe, spicca in “La grande scommessa” (in quanto mio attore preferito lo premierei per ogni film che fa). Tom Hardy potrebbe rappresentare il ‘coup de théâtre’ della serata; il suo ruvido personaggio in “Redivivo” m’è parso molto realistico e ben caratterizzato, grande prova per lui. Mark Rylance è quello che mi convince di meno dell’intero lotto, forse perché non ho apprezzato “Il ponte delle spie”; zero possibilità per lui. Mark Ruffalo: ma quanto è bravo quest’attore (terza nominations negli ultimi 5 anni)? Un vero saggio di bravura incastonato in un mirabile film corale (“Il caso Spotlight”). La mia preferenza va a:

 
Mark Ruffalo per IL CASO SPOTLIGHT

 

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: categoria di non facile attribuzione. Alicia Vikander parrebbe essere la favorita per “The Danish Girl” (anche se io l’avrei candidata per “Ex Machina”); non mi pare eccessivamente meritevole, ricorda molto la prestazione di Felicity Jones lo scorso anno (“La teoria del tutto”), sopravvalutata. La tallona da vicino l’ottima Kate Winslet, sette nominations e una vittoria, per la segretaria “grillo parlante” in “Steve Jobs”; a mio parere una solida interpretazione ma senza picchi. E’ impossibile non prendere in considerazione la bella prova di Rooney Mara in “Carol”: misuratissima e leggiadra (da vedere e rivedere l’ultima scena che omaggia Bergman). Anche la lercissima Daisy interpretata da Janet Jason Leigh meriterebbe molta considerazione e da quando ho visto “The Hateful Eight” (l’ultimo candidato che ho visionato) ho cominciato a pensare che sarà lei a spuntarla. Chiude il gruppo l’incantevole Rachel McAdams che offre una prestazione consistente nel pregevole “Il caso Spotlight”.

 
Rooney Mara per CAROL

Rooney Mara

Rooney Mara

MIGLIOR FOTOGRAFIA: quest’anno questa è LA categoria. I cinque candidati sono tutti tra i migliori nel loro genere (insieme a Storaro, Menges e Doyle). Ed Lachman, già collaboratore assiduo di Soderbergh e dello stesso Haynes, quest’anno ha lavorato splendidamente sulla luce naturale degli interni per “Carol” rendendolo “vintage”come richiesto a un film ambientato negli anni ’50. Tra i suoi avversari più agguerriti c’è il messicano Emmanuel Lubezki che però ha vinto nei due anni precedenti, con “Gravity” e ”Birdman”, per cui escluderei una sua tripletta. Il paradosso è che forse questa è la categoria nella quale “Redivivo” meriterebbe di più; i suoi colori lividissimi e il fine lavoro di cesello sui riflessi conferiscono alle scene quel senso di realismo che lo permea e lo rende così selvaggio. Il britannico Roger Deakins è noto per essere arrivato alla tredicesima nominations senza mai vincere (gli sono state scippate tre statuette per “Skyfall”, “Prisoners” e il sottovalutatissimo “Unbroken”); potrebbe il lavoro fatto sul controluce e sulle tonalità scure e oppressive di “Sicario” portarlo al primo trionfo? L’australiano John Seale, coi suoi 73 anni, è il più vecchio del lotto. Il lavoro stupefacente fatto con i colori contrastanti e molto accesi fatto con “Mad Max: Fury Road” gli consegnerà la seconda statuetta venti anni dopo la prima (“Il paziente inglese”)? L’ultimo della cinquina non fa da mero contorno come succede in altre sezioni poiché trattasi del maestro Robert Richardson (vincitore già tre volte con “JFK”, “The Aviator” e “Hugo Cabret”). Collaboratore storico di Oliver Stone e Martin Scorsese, amante indefesso della luce naturale, ha continuato il suo sodalizio con Quentin Tarantino dando una grande vivacità nei colori in interno del suo nuovo western; “The Hateful Eight” propone in modo superbo il contrasto tra colori saturati dentro l’emporio di Minnie e quelli desaturati nei brevi scorci innevati in esterno. Sarà una lotta serratissima, potrebbe vincere chiunque (e comunque il premio finirebbe in mani buone); io scelgo:

 
John Seale per MAD MAX: FURY ROAD

 

MIGLIOR SCENOGRAFIA: il plurinominato “Redivivo”, che si è avvalso dell’abilità di Jack Frisk (alla seconda candidatura), se la giocherà, molto probabilmente, con l’apocalittico “Mad Max: Fury Road”. Non sottovaluterei nemmeno il pregevole lavoro fatto sugli interni stile Liberty di “The Danish Girl” (Eve Stewart è alla sua quarta candidatura). “Il ponte delle spie”, film che ho gradito molto poco, si giova però di un’ottima ricostruzione della Berlino all’epoca dell’innalzamento del famoso muro; potrebbe spuntarla a sorpresa. Ultimo del lotto è “Sopravvissuto – The martian” che avrei escluso a favore di “Carol”. Inspiegabile l’assenza del migliore di tutti, il fastoso “Crimson Peak”. Il mio favorito è:

 
Michael Standish e Eve Stewart per THE DANISH GIRL

 

MIGLIORI COSTUMI: Sandy Powell, alla dodicesima candidatura con ben tre vittorie (“Shakespeare in Love”, “The Aviator” e “The young Victoria”), è presente con due film: “Carol” e “Cenerentola”; il primo dovrebbe spuntarla per risarcirlo della penuria di nominations conquistate. Jenny Beavan, alla decima candidatura con Oscar nel 1987 col magnifico “Camera con vista”, ha però fatto un lavoro eccellente in “Mad Max Fury Road” e se la gioca alla grande. Completano la lista Jacqueline West per “Redivivo” e Paco Delgado per “The Danish Girl”, solo quest’ultimo potrebbe avere qualche minuscola possibilità. La domanda è la medesima della categoria precedente: come mai manca “Crimson Peak”, non sarebbe stato bene al posto di “Cenerentola”? Io premierei:

 
Jenny Beavan per MAD MAX: FURY ROAD

Mad Max Fury Road

Mad Max Fury Road

MIGLIOR COLONNA SONORA: sezione di difficile interpretazione. Il popolo italico spera nella vittoria di Ennio Morricone (vincitore di un solo Oscar ma “alla carriera”) per le buone suggestioni che ha saputo creare per il film di TarantinoThe Hateful Eight” ma, perché c’è un ma, la concorrenza è agguerrita. Il primo da tenere in considerazione è il signor John Williams, ben 50 nominations e 5 vittorie: indubbiamente di valore il suo operato per “Star Wars: il risveglio della forza”, non vince da 25 anni. Jóhann Jóhannsson è giovane ma talentuoso e il lavoro svolto per “Sicario” gli concede qualche speranza. Carter Burwell, assiduo collaboratore dei fratelli Coen, ha composto la malinconica colonna sonora di “Carol” (una di quelle che ti rimangono impresse sin dalla prima nota), a mio parere sarebbe un delitto non premiarlo. Thomas Newman, dodici volte candidato e mai vincente, resterà a bocca asciutta anche stavolta; troppo debole ciò che ha ideato per “Il ponte delle spie”. L’Academy premierà Morricone, io invece:

 
Carter Burwell per CAROL

 

MIGLIOR MONTAGGIO: credo che qui vi sarà una lotta gomito a gomito tra “Redivivo“, l’ottimo “Spotlight” e l’impeccabile “La grande scommessa” che è curato da quel tizio originale che risponde al nome di Hank Corwin. Sono tutti montati con grande eleganza (rigore nel caso di “Redivivo”) ma credo che il favorito sia il primo dei tre. Stavolta gli stacchi di montaggio non aiuteranno “Mad Max: Fury Road” e nemmeno “Star Wars: il risveglio della forza” ad aggiudicarsi la statuetta.

 
Tom McArdle – IL CASO SPOTLIGHT

Redivivo - The Revenant

Redivivo – The Revenant

 

EFFETTI SPECIALI: questa categoria è assai intrigante e incerta poiché piena di buonissimi film fantascientifici. A mio parere “The revenant – Redivivo” non ha alcuna possibilità e avrebbe dovuto essergli preferito “Jurassic World”. “Sopravvissuto – The Martian” è buono ma non abbastanza. La frettolosa inclusione di “Star Wars: il risveglio della forza” in diverse categorie mi fa pensare che qualcosa porterà a casa e nel caso specifico credo non sarebbe uno scandalo. Consta di effetti speciali per nulla invasivi che riportano agli esordi della saga, fatto molto apprezzabile. “Mad Max: Fury Road” è lo sfidante più accreditato; il lavoro svolto è eccellente, quasi nullo il ricorso alla CGI, risultato finale da urlo. “Ex Machina”: anche in questo caso siamo su livelli di eccellenza ma non credo verrà premiato. La mia preferenza va ancora a:

 
MAD MAX: FURY ROAD

 

MIGLIOR MONTAGGIO SONORO – SONORO – TRUCCO: Credo che nelle prime due categorie si spartiranno un premio a testa “Star Wars: il risveglio della forza” e “Mad Max Fury Road“; “Redivivo” potrebbe inserirsi e scippare almeno una statuetta. Non mi stupirei se il premio nel Montaggio Sonoro andasse a “Sicario”. Per quanto riguarda il trucco i film nominati sono solo tre e “Mad Max: Fury Road” non dovrebbe avere alcun problema ad avere la meglio su “Revenant” e “Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve”. Anche qui è inspiegabile l’assenza di “Crimson Peak”. Le mie preferenze a:

 
MAD MAX: FURY ROAD (x2) e STAR WARS

 

MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE: in questa categoria il verdetto è, ahimè, già scritto, l’insipido “Inside out” di casa Pixar vincerà la preziosa statuetta. Il messaggio del film non sarebbe neanche disprezzabile ma tutta l’operazione è ammantata da un fastidioso afflato retorico calato in una narrazione soporifera. L’alternativa potrebbe essere “Anomalisa” (già Leone d’Argento quest’anno) di Charlie Kaufman (sue le sceneggiature di “Essere John Malkovich” e “Se mi lasci ti cancello”); l’unica sua pecca è una realizzazione grafica poco gradevole. Il film di gran lunga migliore del lotto è però l’ultimo (purtroppo pare in modo definitivo) lavoro di casa Ghibli, l’incantevole “Quando c’era Marnie“; tratto da un libro per ragazzi di Joan G. Robinson e firmato da Hiromasa Onebayashi. Una pellicola intelligente, misteriosa e delicata con dei disegni deliziosi; peccato che anche quest’anno si assisterà a un’ingiustizia. “Il bambino che scoprì il mondo” del brasiliano Alê Abreu suona molto come riempitivo. Per ultimo il simpatico “Shaun, vita da pecora – Il film”, di sicuro non vincerà però è un buon prodotto. La mia preferenza è indubitabilmente per:

 
QUANDO C’ERA MARNIE di Hiromasa Onebayashi

Quando c'era Marnie

Quando c’era Marnie

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5 film vampirici post “Twilight”

Dopo diversi mesi di assenza riesco a postare nuovamente; e cosa c’è di meglio di una bella top 5 di film vampirici? L’immaginario vampirico ha una lunghissima e consolidata tradizione cinematografico – letteraria (forse anche di questo sproloquierò in futuro) che periodicamente  assurge a nuova vita. Dopo diversi anni di oblio l’ennesimo  slancio al genere è stato dato, permettetemi di affermare “involontariamente”, dalla signora Stephenie Meyer. Era la fine del 2005 quando la scrittrice americana pubblicò “Twilight”, primo volume di una saga che sarà vendutissima e che decreterà (ahimè) l’esplosione mondiale del paranormal romance. A seguito dell’incredibile successo planetario dei romanzi nel 2008 è uscito l’adattamento cinematografico di “Twilight”, regia di Catherine Hardwicke. Benché nell’intera saga i vampiri facciano da mero mobilio hanno avuto il merito di rilanciare l’immagine del succhiasangue; scrittori e registi di tutto il mondo han cavalcato l’onda. Quel che mi interessa qui è segnalare 5 opere cinematografiche di buon/alto livello che probabilmente han beneficiato di questo ritorno in auge e han saputo declinare in diversi modi la figura del vampiro. Dovendo effettuare una scelta ho, per forza di cose, lasciato fuori dall’elenco svariare pellicole, alcune perché poco riuscite (“Daybreakers – L’ultimo vampiro”, 2009), altre perchè troppo celebri (“Jennifer’s body”, 2009, con Megan Fox o “Fright night”, 2011, con Brad Pitt, remake di “Ammazzavampiri”, 1985). Ecco i miei 5 film vampirici post “Twilight” (l’ordine è meramente cronologico):

 

Thirst (2009)

Thirst (2009)

1 – Thirst (Bakjwi, 2009) di Chan-wook Park

Uno stimatissimo prete decide, contro il parere dei superiori, di recarsi in Africa per prestarsi a un esperimento per la creazione di un vaccino contro una malattia mortale; nella maggior parte dei casi coloro che si sono offerti volontari sono morti dopo poco tempo. Una volta rientrato a Seul il prete deperisce rapidamente fino a spegnersi ma una trasfusione di sangue lo riporta miracolosamente in vita; da quel momento diverrà una sorta di santone ricercato dai malati più gravi, speranzosi di ricevere la grazia. Peccato che il nostro sia diventato anche un vampiro e che la situazione, una volta conosciuta la bistrattata moglie di un amico d’infanzia, precipiti in un caleidoscopio di situazioni impensabili. Il regista è quel geniaccio di Park Chan-wook (mi piace ricordare che Park è il cognome), fantastico autore ormai ampiamente conosciuto anche in occidente, l’attore principale è il bravissimo Song Kang-ho. “Thirst”, vincitore del premio della giuria al festival di Cannes 2009, è liberamente ispirato a “Teresa Raquin” (1867) di Emile Zola. Park Chan-wook sceneggia e dirige un film blasfemo, bizzarro, sanguinoso, divertente e struggente. Il mito del vampiro diventa il mezzo per parlare delle diverse sfumature dell’amore e della morte. Pellicola complessa, imprevedibile e mai banale.

 

The moth diaries (2011)

The moth diaries (2011)

2 – The moth diaries (id., 2011) di Mary Harron

La trama è facilmente riassumibile in poche righe: in un collegio femminile americano giunge una strana ragazza europea, Ernessa. Costei guadagna le attenzioni di Lucy, migliore amica di Rebecca; quest’ultima inizia a pensare di essere preda di attacchi di gelosia fino a quando un paio di morti sospette non vengono a turbare la vita dell’istituto. Rebecca comincia a ritenere che la misteriosa Ernessa possa essere qualcosa di diverso da ciò che appare… Comincio col dire che questo film è stato da molti massacrato e aggiungo, a mio parere ingiustamente. La pellicola è tratta da un libro omonimo di tale Rachel Klein ma il progenitore vero, quello che rende l’operazione assai interessante, è un altro; ovvero l’affascinante “Carmilla” (1872) di Joseph Sheridan Le Fanu. Chi non conoscesse questo breve romanzo (anticipatore del Dracula di Stoker) è pregato di procurarsene immediatamente una copia. La regia è stata affidata a Mary Harron (proprio lei, la regista di “American Psycho”) e la sua cifra stilistica è  del tutto evidente nella messa in scena degli eventi. Un film posato che regala piccoli brividi incorniciati da una resa visiva e un comparto sonoro degni di nota. Alcuni passaggi sono poco definiti e il finale, forse un tantino sbrigativo, è prevedibile, però l’inquietante sguardo di Lily Cole (Ernessa/Carmilla) si ricorda molto a lungo. Patinato con classe.

 

Only lovers left alive - Solo gli amanti sopravvivono (2013)

Only lovers left alive – Solo gli amanti sopravvivono (2013)

3 – Solo gli amanti sopravvivono (Only lovers left alive, 2013) di Jim Jarmush

Per inquadrare in maniera adeguata questa pellicola, di cui ho già pronta una recensione per un prossimo post, posso usare senza paura un paio di parole che raramente adopero: piccolo capolavoro (di questo inizio secolo). Eve e Adam sono due vampiri centenari e si amano. La caparbia Eve, residente in quel di Tangeri, gode della presenza del vecchio Marlowe; il sensibile Adam, recluso nella sua abitazione di una decadente Detroit, non può che rifugiarsi nella musica che tanto ama; oltre alla musica solo le visite del fidato Ian rompono il silenzio che lo circonda. Il bisogno di vicinanza farà muovere Eve…  Alla regia c’è l’istrionico Jim Jarmusch, re del cinema indipendente, nei ruoli principali la bravissima Tilda Swinton e il sorprendente Tom Hiddleston. Il film è ispirato, intrigante, raffinato, leggiadro e presenta una colonna sonora indovinatissima. Le cadenze sono molto rallentate e contemplative, lontanissime da quelle ipercinetiche delle pellicole a grosso budget. C’è una scena con la scelta di alcuni libri che da sola vale la visione. E poi ha un titolo stupendo! Ricorda, nella cura del dettaglio generale, il cult di Tony ScottMiriam si sveglia a mezzanotte”. Assolutamente un “must see”!

 

Byzantium (2014)

Byzantium (2014)

4 – Byzantium (id., 2014) di Neil Jordan

Due presunte sorelle, Clara e Eleanor (Arterton e Ronan), vagano di città in città finché non s’imbattono nell’impacciato Noel che, invaghitosi di Clara, le ospita nel suo vecchio hotel, il Byzantium. Clara avvia subito un’attività fruttuosa ma i fantasmi del passato torneranno a farsi vivi… La regia è firmata da uno che di vampiri se ne intende, l’esperto Neil Jordan. Questa pellicola porta sullo schermo la vicenda di vampiri “poveri”, non i soliti ricconi aristocratici che siamo abituati a vedere; la sopravvivenza, in uno scenario tanto squallido, è legata al caso. L’interno quasi barocco del Byzantium contrasta con gli esterni: tutto è virato sui colori del grigio ma ogni tanto vi sono esplosioni di rosso intenso. La storia è molto raccolta, come la piece teatrale da cui è tratta, e vi si può respirare il profumo di certe atmosfere anni ’80. Non particolarmente avventuroso ma si gusta fino alla fine. Peccato per il basso minutaggio destinato all’ottimo Sam Riley.

 

A girl walks home alone at night (2014)

A girl walks home alone at night (2014)

5 – A girl walks home alone at night (id., 2014) di Ana Lily Amirpour

Nell’immaginaria città iraniana di Bad City il giovane Arash vive col problematico padre; per un caso fortuito il suo destino prenderà una via inaspettata quando incontrerà la misteriosa e affascinante ragazza del titolo. Lei è una giovane vampira che non esita a uccidere per procurarsi il sangue di cui abbisogna. Questa deliziosa opera prima della giovane regista (qui anche sceneggiatrice), di origini persiane, Ana Lily Amirpour, è girata con una verve e un garbo unici. Il film, un low-budget, è bene ricordarlo, batte bandiera USA ma le maestranze sono quasi tutte iraniane (tra i produttori esecutivi spunta il nome di Elijah Wood). La storia raccontata non è niente di originale ma il modo in cui è presentata risulta intrigante: la scelta di girare in b/n, un’ottima colonna sonora moderna, un’azzeccatissima protagonista e una costante atmosfera cupa e minacciosa sono le carte vincenti. Anche a distanza di svariati giorni tornano in mente diverse sequenze (tipo l’inseguimento della prostituta) e questo è sempre buon segno. Forse il finale non è all’altezza però resta un piccolo gioiellino. Non so per quale motivo nella mia testa continuo ad associarlo a un film con cui  non dovrebbe avere niente a che vedere: l’esuberante “Le lacrime della tigre nera” (2000) di Wisit Sasanatieng.

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OSCAR 2015: preferenze e previsioni

Oscar 2015

Dopo 11 mesi eccoci di nuovo vicini alla “Big Night”; infatti gli Oscar 2015 verranno assegnati domenica 22 febbraio. Essendo riuscito a visionare tutti i film principali anche quest’anno voglio cimentarmi nell’indicare le mie preferenze e previsioni per la maggior parte delle categorie (no, anche a questo giro niente documentari). La selezione di quest’annata propone buonissimi film,  incluso quello dell’illustre ripescato Wes Anderson e un paio d’esclusioni (una parziale) clamorose (“Big Eyes” di Burton e, soprattutto, il sottovalutato “Unbroken” della Jolie). Cominciamo dunque (in arancio quelli che, a parer mio, verranno effettivamente premiati):

MIGLIOR FILM: i candidati quest’anno sono otto. “Selma“: sebbene affronti tematiche sociali di sicuro impatto mi pare il più debole del lotto a causa di un certo fastidioso afflato retorico. “Whiplash” è un piccolo film che si guarda con sicuro piacere ma non possiede il “carisma” necessario. “La teoria del tutto” (questo m’è piaciuto parecchio per la sua leggerezza nonostante il “disagio” del protagonista) e “The imitation game“, entrambi biopic, sono ben realizzati e assai interessanti,  ma non vanno oltre “il compitino ben svolto”. “Boyhood” che ho trovato solo carino, deludente quanto a svolgimento della storia, è uno dei due favoriti e ha diversi motivi per sperare nel premio: ha vinto il Golden Globe per il miglior film, è una trovata innovativa ed è piaciuto moltissimo alla critica; però i membri dell’Academy hanno adorato “Birdman“; solido film “di attori” per un pubblico colto e paziente. Credo che il premio andrà  a quest’ultimo. Poi c’è la possibile sorpresa, ovvero il coloratissimo “Grand Budapest Hotel” che, nonostante la sua natura magmatica, potrebbe sparigliare le carte in tavola. Non avendo capito/apprezzato per nulla “Birdman” la mia scelta ricade su una pellicola cui, prima della visione, non avrei dato alcun credito (non amo l’Eastwood regista): “American Sniper“. A tratti ridondante, denso di testosterone stelle e strisce e “duro e puro”, ma che spettacolo! Un biopic vigoroso e “verace” che catapulta lo spettatore in una realtà lontana ma non così’ tanto (vedere l’ultimo attentato in Francia). Denso, teso e antimilitarista. Dalla sua parte ha solo il grande incasso ottenuto negli USA. Essendo stato escluso, inspiegabilmente, dal  lotto “Unbroken“, il mio preferito è:

AMERICAN SNIPER

 

MIGLIOR REGIA: qui la situazione è piuttosto fluida, credo che il riconoscimento andrà a Richard Linklater per i 12 anni di riprese del suo “Boyhood“. Alejandro Inarritu con “Birdman” ha le restanti possibilità di vittoria. Per Morten Tyldum (“The imitation game“) è già un successo essere nella cinquina. Il talentuoso Wes Anderson (“Gran Budapest Hotel“) verrà di sicuro risarcito per il mancato premio al delizioso “Monrise Kingdom” ma in un’altra categoria. Per ultimo il mio favorito: Bennett Miller per l’inquietante e fosco “Foxcatcher“; film girato in maniera impeccabile e dotato di rara tensione emotiva. Il mio preferito:

Bennett Miller per FOXCATCHER

 

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE:  Dan Gilroy ha scritto e diretto il discreto thriller “Nightcrawler“, anche in questo caso il premio consiste nell’essere stato incluso nella cinquina. Più che lui era il protagonista della sua pellicola (J. Gyllenhaal) che ha, ingiustamente, mancato la nomination a favore dello scialbo Bradley Cooper.  Linklater che sarà premiato per la regia o per il film non bisserà anche in questa categoria. Dan Futterman (già nominato anni fa per “Capote“) e Max Frye hanno fatto un ottimo lavoro con “Foxcatcher” ma sono capitati nell’anno sbagliato. Inarritu, Giacobone, Denelaris e Bo potrebbero anche vincere il premio, sotto questo punto di vista “Birdman” è ineccepibile, ma Wes Anderson (terza candidatura come miglior sceneggiatore) e il suo “Grand Budapest Hotel” otterranno la statuetta. Categoria senza prodotti entusiasmanti quindi pure io tenderei a preferire: 

Wes Anderson per GRAND BUDAPEST HOTEL

Grand Budapest Hotel

Grand Budapest Hotel

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALEJason Hall  ha scritto un buonissimo film, “American Sniper”, ma è un novizio, quindi impossibile trionfi. Escluderei la vittoria del riuscito biopic sulla vita del matematico Alan Turing, “The imitation game“, così come quella di Damian Chazelle (anche regista) del gradevolissmo “Whiplash“. La lotta dovrebbe essere tra Anthony McCarten con il suo pregevolissimo “La teoria del tutto” (biopic sulla vita di S. Hawking) e Paul Thomas Anderson, alla sua quarta nomination nella categoria, che ha ridotto per il grande schermo il complesso romanzo di Thomas Pynchon Vizio di forma“. Il premio potrebbe andare a quest’ultimo. Il mio prediletto è:

Anthony McCarten per LA TEORIA DEL TUTTO 

 

MIGLIOR ATTORE: come lo scorso anno (Matthew McConaughey) qui il verdetto è già scritto; l’interpretazione di Eddie Redmayne è impressionante, ha del miracoloso. Il suo Stephen Hawking è di un realismo sconcertante e poi, si sa, i malati terminali, gli affetti da disturbi mentali o fisici fanno molta presa sui votanti dell’Academy. Non comprendo cosa ci faccia qui, per la terza volta consecutiva (sic!), quel pupazzone inespressivo che risponde al nome di Bradley Cooper. Ok, è ingrassato per interpretare il cecchino di “American Sniper“, ma mi pare un merito di poco conto per giustificare la sua inclusione nel lotto dei candidati. Michael Keaton ha offerto un’interpretazione da Actors Studio ma non gli basterà per conquistare l’ambito premio. Benedict Cumberbatch m’ha sorpreso, positiva la sua prestazione in “The imitation game“, gli servirà da trampolino per i prossimi anni (e le future nominations?). Ultimo del lotto,  ma che avrebbe vinto  non vi fosse stato Redmayne nei cinque, il bravissimo Steve Carrell.  Mentre vedevo “Foxcatcher” continuavo a pensare: <<questo è quello che ha fatto “40 anni vergine“, incredibile!>>. Il suo John du Pont è memorabile: oscuro, intenso, “malato”.

Eddie Redmayne per LA TEORIA DEL TUTTO 

Eddie Redmayne

Eddie Redmayne

MIGLIOR ATTRICE: la candidatura a Felicity Jones per “La teoria del tutto” mi pare un tantino esagerata, niente di clamoroso. Reese Whiterspoon fa quel che deve, e anche bene, in “Wild“, ma non rivincerà la statuetta. Ennesima candidatura, la quinta, per la sempre brava Julianne Moore che questa volta, con l’interpretazione di una malata di Alzheimer nello stucchevolissimo “Still Alice“, avrà finalmente la meritata consacrazione (il Golden Globe appena ottenuto è un forte indizio in tal senso). L’elegante Marion Cotillard offre una solida prova nell’ultimo film dei Dardenne, “Due giorni, una notte“, ma purtroppo non sarà sufficiente a farla primeggiare. Per ultima ho lasciato la sorprendente Rosamund Pike che è maturata tantissimo a livello recitativo e per la sua prestazione nel thriller “Gone girl” meriterebbe un riconoscimento. 

Rosamund Pike per GONE GIRL

 

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: la nomination all’eterno Robert Duvall per “The judge” suona molto “celebrativa”;  Ethan Hawke in “Boyhood” e Mark Ruffalo in “Foxcatcher” non offrono nulla di memorabile (al posto di uno dei due avrei inserito Matthew Goode che in “The imitation game” fa proprio una gran figura). Molto bene il redivivo Edward Norton in “Birdman“, ma non potrà nulla contro il severissimo professore interpretato dal formidabile J.K Simmons in “Whiplash“. Forse l’Oscar 2015 più scontato e meritato (insieme a Redmayne) tra tutti quelli che verranno assegnati.

J. K. Simmons per WHIPLASH

 

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: questa è una categoria di non facile attribuzione. Patricia Arquette è la favorita per “Boyhood“; niente da dire,  ottima interpretazione ma Meryl Streep, alla sua diciannovesima candidatura (record di sempre), è sempre insidiosa. Anche la sottovalutata Laura Dern potrebbe avere qualche possibilità, benché il film in cui compare, “Wild“, non sia proprio uno di quelli “attirasimpatie”. Emma Stone è un’altra di quelle attrici che migliora film dopo film e in “Birdman” parrebbe avere trovato la sua cifra artistica definitiva. Keira Knightley: perchè? Che ci fa “manico di scopa” tra le nominate? Non me ne capacito. Nel film dove lei appare, “The imitation game“, il macchinario denominato “Christopher”, costruito per decifrare i codici nazisti, recita meglio di lei!  

Emma Stone per BIRDMAN

Emma Stone

Emma Stone

MIGLIOR FOTOGRAFIA: Emmanuel Lubezki ha vinto lo scorso anno e quest’anno il suo lavoro per “Birdman” non pare nulla di trascendentale. Dick Pope, già vincitore per “L’illusionista” nove anni fa, ha fatto un buonissimo lavoro per il biopic sul pittore  William Turner (“Mr Turner“, anche questo film è stato troppo trascurato). La nomination per il polacco “Ida” è sorprendente e meramente “riempitiva”. Diverso il discorso per il “magico” Roger Deakins, nominato ben dodici volte (senza mai vincere) e scippato lo scorso anno per il gran lavoro fatto per “Prisoners“; “Unbroken” è un gran bel vedere nonché il film più ingiustamente snobbato quest’anno. Credo che l’Academy premierà il collaboratore fisso di Wes Anderson, Robert Yeoman, per il grosso lavoro nella saturazione delle immagini fatto in “Grand Budapest Hotel“.

Roger Deakins per UNBROKEN

 

MIGLIOR SCENOGRAFIA: categoria agguerrita in cui almeno tre pellicole meriterebbero (come lo scroso anno!); credo che la battaglia finale vedrà prevalere nuovamente “Grand Budapest Hotel” ai danni di “Mr Turner” e del mio prediletto “The imitation game” (ottime le ricostruzioni d’epoca). Nessuna possibilità per “Interstellar” e “Into the woods“.  Il mio favorito è:

Maria Djurkovic e  Tatiana MacDonald per THE IMITATION GAME

 

MIGLIORI COSTUMI: la Atwood è candidata con un film poco adatto, “Into the woods”, mentre “Vizio di forma” e “Mr Turner” non spiccano particolarmente. La corsa dovrebbe essere ristretta a due pellicole: “Maleficent” e, ancora una volta, “Grand Budapest Hotel” che si avvale dell’ottimo lavoro della nostra Milena Canonero (già vincitrice tre volte). 

Milena Canonero GRAND BUDAPEST HOTEL

Unbroken

Unbroken

MIGLIOR COLONNA SONORA: doppia candidatura per Alexandre Desplat, sia per “The imitation game” che per “Grand Budapest Hotel“, probabilmente verrà premiato il primo dei due. Debbo invece dire che, a mio parere, il lavoro che spicca maggiormente è quello di Johann Johannsson per “La teoria del tutto“. Non vedo possibilità per “Interstellar” e non capisco la nomination a “Mr Turner” che avrebbe dovuto essere inserito in altre categorie. 

Johann Johannsson per LA TEORIA DEL TUTTO

 

MIGLIOR MONTAGGIO: lotta veramente serrata qui! “Grand Budapest Hotel” parte favorito però “The imitation game” ha diverse possibilità vantando il cinque volte candidato (una vittoria) William Goldenberg al timone. Pure “Boyhood” potrebbe vincere il premio se si innescasse la spirale della pellicola “pigliatutto”. “Whiplash” è ben montato ma non credo abbia l’appeal necessario per poter trionfare. “American Sniper” è quello che ho preferito, stacchi netti e puliti; costruzione alternata realizzata con maestria.

Joel Cox e Gary Roach per AMERICAN SNIPER

 

– MIGLIOR MONTAGGIO SONORO – SONORO – EFFETTI SPECIALI E TRUCCO: credo che nelle prime due categorie si spartiranno i premi “Lo Hobbit” e “Interstellar“. Spero che “Unbroken” possa venir un minimo risarcito, quindi tifo per lui. Per la categoria del trucco il favorito d’obbligo è “I guardiani della galassia” che potrebbe bissare anche negli “Effetti speciali“; difficile credere però che “Capitan America” possa restare a secco.

UNBROKEN e GUARDIANI DELLA GALASSIA

 

MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE: l’Academy ha  inaspettatamente  fatto fuori quello che pareva essere il favorito della vigilia, ovvero “The lego movie“, inserendolo, a sorpresa, nella categoria “Miglior canzone originale” (dove vincerà); ciò lascia la strada libera per “Big Hero 6” e “Dragon Trainer 2“, ambedue meritevoli.  Nessuna possibilità per “The Boxtrolls” e “Song of the sea“. L’altra sorpresa è l’inserimento nei cinque dell’ultimo lavoro di casa Ghibli,  il magnifico “La storia della principessa splendente” che porta la firma di Isao Takahata, collaboratore e socio di Hayao Miyazaki. L’avrei inserito anche nella categoria “Miglior film”.

LA STORIA DELLA PRINCIPESSA SPLENDENTE di Isao Takahata 

La storia della principessa splendente

La storia della principessa splendente

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Tutti i colori del thrilling: LA CORTA NOTTE DELLE BAMBOLE DI VETRO

L'aldilaUna delle mie passioni cinematografiche è il giallo, ovvero il thrilling italiano anni ’70-’80; quello che dettava legge in quegli anni e ha fatto scuola in tutto il mondo. I nostri autori sono ricordati e celebrati ancora oggi ovunque, solo qui ce ne siamo dimenticati (Fulci chi?). Ecco dunque una nuova rubrichetta dedicata esclusivamente all’orrore italico, in tutte le sue sfumature, sia giallo che horror.  Molto spesso andrò a ripescare tra i classici, sporadicamente, come oggi, affronterò materiale contemporaneo (il poco rimasto).

LA CORTA NOTTE DELLE BAMBOLE DI VETRO (1971) di Aldo Lado

Praga, inizio anni ‘70: presso un’aiuola uno spazzino rinviene un corpo senza vita, l’ambulanza corre in ospedale ma non c’è niente da fare; l’uomo è deceduto da varie ore. V’è però un problema, il presunto cadavere, un giornalista americano di nome Gregory Moore, è in uno stato di morte apparente, perciò il suo corpo sembra morto ma il suo cervello è in funzione, quindi lui è vivo e cosciente di ogni cosa che accade. Assistiamo dunque al racconto di Gregory che si sforza di ricostruire quanto accaduto nell’ultima settimana, sperando che nel frattempo qualcuno si accorga che è ancora in vita. Egli ha una splendida fidanzata, Mira, con la quale non vede l’ora di condividere il resto della sua vita; la fa conoscere ad amici (tra i quali la sua ex fiamma, nonché collega, Jessica) e conoscenti (la porta a una festa dove sono presenti moltissime autorità e persone di primo piano della vita polico-sociale praghese). Una notte, mentre dorme in compagnia di Mira, viene svegliato dal collega Jacques poiché è richiesta la sua presenza visto che un politico locale si sarebbe suicidato. Il tutto si risolve in un niente di fatto, una soffiata erronea; Gregory rientra a casa e constata l’assenza di Mira. Il fatto strano è che sembrerebbe sparita nuda, poichè tutti i vestiti e i documenti sono ancora nella stanza. Iniziano le indagini da parte di Gregory che viene aiutato dai suoi amici ma osteggiato dalla polizia. Il giornalista scopre che sono diverse le ragazze sparite negli ultime tempi in città e che “la musica” è un elemento ricorrente per molte di loro.

La corta notte delle bambole di vetro

La corta notte delle bambole di vetro

SPOILER!! Mentre si sta avvicinando sempre più alla soluzione, un paio di persone vengono uccise (una è il collega Jacques) e la polizia lo ritiene responsabile. Gregory capisce che tutto ruota attorno al Klub 99 (ha trovato un biglietto addosso al cadavere d’un vetusto signore che voleva aiutarlo), un circolo di svago dell’alta società praghese frequentato da anziani. Dopo aver subito un tentativo di affogamento, torna a casa e trova il cadavere di Mira nel frigorifero; in preda a delirio sta per suicidarsi con una pistola che gli è stata fatta appositamente trovare per terra, ma giunge la polizia per arrestarlo; Gregory scappa e si introduce, furtivamente, nel Klub 99 e giunto in un oscuro salone assiste, incredulo, ad una scena surreale: al centro è posizionato un altare su cui giace una giovane ragazza nuda (ecco dove finivano le ragazze sparite) e tutto intorno sono disposti gli anziani appartenenti al club che, in preda a una spirale parossistica, iniziano ad accoppiarsi; Gregory avanza sino all’altare e viene in contatto con l’officiante di questi riti magici, esoterici e orgiastici, il quale gli comunica che verrà ridotto al silenzio, sarà reso inerme, come lo sono state le giovani che hanno tentato di ribellarsi (Mira era tra queste). Nella scena seguente si ritorna al presente e ritroviamo Gregory all’obitorio: dopo vari tentativi di rianimazione da parte dell’amico Ivan e del professor Karting, si è deciso di usarlo come cavia da autopsia per gli studenti del corso di medicina. Gregory è disperato, non sa più cosa fare; nella candida sala ovale gli studenti, i colleghi giornalisti, Jessica compresa, e alcuni membri del Klub 99, assistono silenziosi mentre il dottor Karting (e in quel momento Gregory realizza che era proprio lui l’officiate del rito), incaricato di svolgere l’autopsia, resosi conto dell’incipiente risveglio del giornalista, gli blocca la mano mentre con l’altra gli incide il cuore; in quel preciso momento parte un tremendo urlo di Jessica sul cui freeze frame termina il film… FINE SPOILER

La corta notte delle bambole di vetro 1971

La corta notte delle bambole di vetro 1971

Benché soggetto e sceneggiatura non rappresentino una novità, infatti si citano Poe (“Il seppellimento prematuro”), Hitchcock (“Crollo nervoso”), Polanski (“L’inquilino del terzo piano”, “Rosemary’s baby”) e Corrado Farina (“Hanno cambiato faccia”), Lado prova, riuscendo in massima parte, a fare un film suggestivo e d’atmosfera angosciosa, infilandosi in un filone poco battuto e molto affascinante. Questo, a mio parere, rappresenta già un pregio. La vicenda si avvale dell’uso del flashback per narrare quanto accaduto ed è servita da un montaggio che alterna bene i momenti all’obitorio e quelli “ricordati”; convincente la fotografia che prediligendo i toni del grigio per gli esterni (regalandoci una Praga livida e intrigante) e del blu-nero (con esplosioni di bianco) per gli interni, rende tutto più cupo e sfocato, suggerendo con precisione il clima “onirico”. Ho trovato la costruzione dell’intreccio accattivante e di discreta fattura, sebbene il ritmo non risulti altissimo e in alcune parti si perda di vista l’atmosfera generale. La parte finale, con lo spietato meccanismo che si chiude alla perfezione, è di sorprendente impatto e non può non suscitare reazioni, benché paia forse un tantino “frettolosa”. Diverse le inquadrature formalmente ineccepibili e dotate di una certa eleganza (la soggettiva iniziale fatta dall’ambulanza per le vie di Praga), buona l’attenzione per i particolari (i due “scaraventamenti” dai ponti sono però poco credibili). La colonna sonora dell’onnipresente Morricone contribuisce alla creazione di un clima malsano ed opprimente. Due parole sugli attori: il cast fa da buon contorno al piacione Jean Sorel (“Una sull’altra”, “Una lucertola con la pelle di donna”) qui a suo agio nella parte di catalettico poiché non è dotato di molta espressività, non posso non segnalare Barbara Bach, splendida; m’è sembrata sprecata la Thulin, mentre è di classe il contributo di Mario Adorf.

Barbara Bach

Barbara Bach

La connotazione politica del film, come spiegato dallo stesso Lado, consiste nel fatto che in quel periodo, chi voleva indagare sulle mosse della politica, veniva trasferito, allontanato, quindi anestetizzato, come il nostro protagonista (ciò non può non ricordare il pregevole romanzo di Leonardo SciasciaIl contesto”). Karting, parlando con George nel finale, dice di come la politica, per continuare a vivere, debba trarre forza dal “vigore” dei giovani, i quali sono facilmente plagiabili. Il potere, normalmente appannaggio dei vecchi, si nutre e s’è sempre nutrito delle energie dei più giovani. Il titolo della pellicola è molto intrigante anche se non c’entra con il film: “La corta notte delle farfalle”, titolo originale, faceva infatti riferimento alla caducità della gioventù che dura un battito d’ali, come la vita delle farfalle (come ci ricorda una canzone cantata da un giovane sul ponte Carlo). L’aneddotica sul titolo racconta che Lado, qui anche autore di soggetto e sceneggiatura, ne avrebbe voluto un altro, “Malastrana” (“città nuova”, insolito  quartiere subito dopo il Ponte Carlo), ma i produttori lo bocciarono perché temevano il pubblico italiano non lo avrebbe capito; si passò perciò a “La corta notte delle farfalle” che venne modificato in fretta a furia per non creare confusione col film di Duccio Tessari Una farfalla con le ali insanguinate”  (pellicola appena discreta) uscita un mese e mezzo prima (10 settembre 1971 contro 28 ottobre 1971). Una nota sulle, indovinate, locations: le riprese si svolsero a Zagabria e furono implementate da diversi spezzoni girati a Praga, magica città nella quale la vicenda si svolge e che negò i permessi per filmare (Lado vi girò, in 3 giorni, diverse scene del film con i due attori principali facendole passare come documentario). Devo ammettere di apprezzare assai questo filone “esoterico – metafisico” e ne parlerò ancora in futuro (uno dei mie film prediletti, ancorché derivativo, appartiene a questo ramo). “La corta notte delle bambole di vetro” resta un piccolo gioiello della produzione nostrana di cui consiglio assolutamente la visione. Voglio ricordare che Aldo Lado è il regista di altri due buoni prodotti di genere:  l’ossessivo “Chi l’ha vista morire?”  (1972) e l’insostenibile, per me lo è stato, rape and revengeL’ultimo treno della notte” (1975).

VOTO 7,5

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IL RE GIALLO

Il Re Giallo, Vallardi

Il Re Giallo, Vallardi

Riemergo in questo intenso dicembre per una segnalazione  gustosa che potrebbe divenire un ottimo regalo di Natale per un appassionato del genere: la recente riproposizione (metà novembre) de “Il Re Giallo” (“The King in Yellow”, 1895)  da parte di Vallardi Editore. Ma andiamo per ordine: Robert William Chambers è da inserire nel novero degli scrittori appartenenti al tardo gotico americano benché, dopo la sua opera più celebre, sia salpato verso una narrativa popolare di stampo “realistico” che nulla aveva a che fare col mondo del sovrannaturale. Nel 1895 vide la luce “Il re in giallo”, raffinata raccolta di dieci diabolici racconti che influenzarono molta letteratura a venire. Il grande merito di Chambers è stato quello di aver aperto una via orrorifica per nulla debitrice nei confronti dell’opera di Edgar Allan Poe, al massimo disseminata di alcuni riferimenti a Ambrose Bierce. A lui non interessava la fragilità psicologica dei personaggi, le sue storie, fondate sulla praticità della trama ma illustrate con una scrittura quasi barocca, presentavano un orrore che sgorgava dalla malvagità intesa come entità assoluta. “Il Re Giallo” narra di un misterioso libro che rende folle chi lo sfoglia e non è difficile scorgervi l’influenza avuta sull’ideazione del “Necronomicon”; infatti H.P.Lovecraft riteneva quest’opera pregna d’una vena macabra di grande autenticità.

Il Re in Giallo, Fanucci

Il Re in Giallo, Fanucci

La prima edizione esistente in italiano datava novembre 1975 ed era uscita per la casa editrice Fanucci col titolo “Il Re in Giallo” (con copertina del leggendario Karel Thole); ne seguì una molto recente per i tipi di “Hypnos”. Cercando di cavalcare il successo della notevole serie televisiva “True Detective” (il cui ideatore, Nic Pizzolato, ha dichiarato d’essere in debito con il  “Re in giallo” nella realizzazione) i tipi di Vallardi hanno deciso di rieditare questo pregiato tomo rendendo un grande servizio alla letteratura fantastica. Vista la penuria di buoni romanzi del genere e il prezzo abbordabilissimo, non resta che fare un salto in libreria e procurarselo.

“Il Re Giallo” – di Robert W. Chambers – Vallardi editore, pagine 256, 12,90 euro.

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I VERMI CONQUISTATORI (2006)

I vermi conquistatoriOggi è il turno di un volume recuperato in edicola, “I vermi conquistatori” (The conqueror worms, 2006) di Brian Keene. Per me erano sconosciuti sia l’autore che il romanzo e debbo ammettere che un titolo così avrebbe potuto condurre a una trovata geniale o a una porcheria immane. Avevo letto diversi commenti di ferventi appassionati del genere e il termine che ricorreva maggiormente era “coinvolgente”; quindi perché non dargli una possibilità?
Nelle prime dieci righe si fa subito la conoscenza dell’ottantenne Teddy Garnett: egli ci spiega che sta scrivendo su un taccuino e non riesce a muoversi perché non ha più sensibilità nella parte inferiore del corpo; probabilmente ha un polmone bucato e sono quarantuno giorni consecutivi che piove…
In un attimo si arriva a pagina 30. Avevano ragione quelli che ne decantavano le lodi, non si riesce a smettere di leggere! Il signor Keene conosce perfettamente il meccanismo del racconto orrorifico (con ovvie derive fantascientifiche), cosa che molti scrittori/registi del genere hanno dimenticato, e lo sviluppa applicando la regola aurea del genere: il cattivo, mostro o quel che sia, va svelato poco per volta! Questa modalità viene applicata magnificamente e consente al lettore di “entrare” in sintonia col narrato sin da subito. La vicenda è ambientata nei giorni nostri nella disastrata provincia americana, in una cittadina di montagna nel West Virginia; ci viene raccontato, con brevi pennellate, di come tutte le città costiere americane ed europee siano state spazzate via da inondazioni e maremoti e di come solo le località in altura siano state risparmiate. The conqueror worms 2006Le comunicazioni sono sospese da giorni, la corrente elettrica assente, il cibo scarso, il sole scomparso sotto una foschia perenne e la pioggia tambureggiante (che ricorda quella del racconto di Ray BradburyPioggia senza fine“) reca con se tetri presagi. A corredo di questo scenario apocalittico il buon Teddy riferisce della comparsa di alcune strane buche, di un’invasione di lombrichi e di come lui sia, probabilmente, l’unica persona vivente del posto poiché casa sua sorge in collina e non è ancora stata sommersa. La situazione parrebbe senza speranza ma al peggio non c’è mai limite; un fosco verso della Bibbia s’affaccia continuamente nella mente di Teddy e sembrerebbe confermare la rinuncia a qualsiasi speranza: “le cose che sorgono dalla polvere della terra e annientano le speranze degli uomini”. Gli avvenimenti si fanno incalzanti (alcuni vermi di inusuali dimensioni cominciano a palesarsi), si viene letteralmente avvinti da ciò che accade, le righe scorrono velocissime, tese e gradevoli; ogni pagina letta incrementa la curiosità per la successiva. “I vermi conquistatori“, titolo che omaggia un componimento di E. A. Poe, possiede elementi fantastici e sciorina numerosi riferimenti a Lovecraft e alla Bibbia ed è diviso in tre parti, ognuna dotata di un gustoso climax; la centrale consente a Keene di variare mirabilmente lo scenario (benché sia quella che ho gradito meno poiché non si armonizza perfettamente con le altre due).
Come lo si chiude non si desidera altro che leggere qualcosa di altrettanto appassionante! Una lettura di svago dalla trama semplice ma efficace, sorprendentemente trascinante e ben realizzata.

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