Negli ultimi dieci anni in ambito cinematografico (ma anche televisivo), a causa della propulsione dell’industria americana, sempre più in crisi di idee, si è ricorsi all’uso massiccio di remake e reboot. Ma non tutti sono ben consci del significato di questi termini e sovente vengono utilizzati in maniera errata. Vediamo perciò di fare un minimo di chiarezza con un esempi pratici ed un linguaggio semplice.
Remake: non è altro che il rifacimento di una pellicola, di solito con tanti (o anche solo “alcuni”) anni sulle spalle. Questa operazione può portare ad un film più o meno fedele all’originale, ma la trama, anche se attualizzata, resta quella. Possono essere modificate certe ambientazioni, mutati i riferimenti temporali e migliorati certi effetti speciali; l’attuale maggior perizia tecnologica consente delle magie impensabili anche solo pochi anni fa.
Quanto ai risultati, li definirei alterni, la maggioranza delle volte negativi: il remake 2013 de “La casa“, a cura di Fede Alvarez, è di buona resa e non sfigura rispetto al cult di Sam Raimi, targato 1981. Non si può dire la stessa cosa del remake 2005 di “The fog“, il pessimo film di Rupert Wainwright non vale la pellicola del 1981, firmata dal maestro John Carpenter.
Ma gli esempio sono tantissimi, giusto per fare qualche altro titolo: “La fabbrica di cioccolato”, “Total Recall”, “Psycho”, “La cosa”, Indovina chi viene a cena?”, “Rollerball”, “The departed”, “The hitcher”, “Maniac”.
Reboot: riprende tematiche e/o vicende
Il senso di ambo le operazioni è sempre il medesimo: incassare il maggior numero di dollari, sfruttando, sarebbe meglio dire “riciclando”, un’idea già utilizzata in passato.