Questa volta è il turno de “H/H” (2001) di Banana Yoshimoto
“Tutti di solito sono convinti che le persone si separano perché una si è stancata dell’altra, per propria volontà o per volontà dell’altra persona. Ma non è così. I periodi finiscono, come cambiano le stagioni. Semplicemente. E’ una cosa su cui la volontà individuale non ha nessun potere. Viceversa, si ha la possibilità, fino a quando verrà quel giorno, di godere ogni momento. Noi due, fino all’ultimo istante, vivemmo nella serenità e nella gioia.”
Passiamo al secondo brano contenuto in H/H, di poco peggiore del primo, che vede come protagonista Kumi, una giovane donna che sta trascorrendo i suoi ultimi giorni di vita attaccata a un respiratore a causa di un’emorragia cerebrale. Voce narrante della storia è la sorella che, addolorata e confusa davanti a questa tragedia improvvisa, cercherà di trovare, come dice lei stessa, “un motivo felice per continuare ad aver voglia di vivere” (un po’ come il libro della felicità di Pollyanna). Continuando per il sentiero della sincerità che ho intrapreso all’inizio del mio commento, debbo confermare d’aver trovato queste due storie insignificanti, sempliciotte e fastidiosamente patetiche. Come scritto sopra non ho nulla da dire sul modo con cui sono state scritte (lo stile della Yoshimoto è comunque gradevole), ma per me questa scrittrice ha un grande difetto, quello di trattare argomenti delicati come la morte, la solitudine, l’abbandono, la tristezza, che inevitabilmente cattura chi è costretto ad affrontare una terribile perdita, con un’ingenuità che trovo davvero irritante e irriguardosa. Per me è fastidiosamente scialba questa scrittrice, non riesce a darmi nessuna emozione, nessuna sensazione, mi lascia totalmente indifferente e ritengo ciò un gravissimo handicap. Dei due racconti salvo in parte solo il primo, il secondo è di una scontatezza allucinante. E poi, altro difetto, la trovo ipocritamente (si può dire così?) patetica, al pari, anzi peggio di una delle tante trasmissioni strappalacrime che vanno tanto di moda ai nostri giorni. La Yoshimoto non fa per me; ho letto due suoi libri (l’altro è “Kitchen” e il giudizio è sempre quello) e devo dire che mi è bastato. La lascio a chi è più “aperto” di me, io preferisco dedicarmi ad altri, più meritevoli, scrittori nipponici.
Voto: 4.5