Il romanzo, ambientato negli anni ’50, parte con un’atmosfera quasi sognante, idilliaca: un ruscelletto, un ragazzino, una roccia su cui pescare, una bella ragazzetta; pare di essere nel bel mezzo di “Stand by me” o “Pleasantville”. Persino il narratore risulta gioviale (la vicenda è esposta in prima persona): il 40 enne David che rimembra cosa gli accadde quando aveva 12 anni. Ma il suo ricordo, piano piano muta, assume i contorni di una dolorosa confessione, di esplicita espiazione, dove nessuno è come sembra, tutti sono colpevoli (lui più di tutti), tranne la vittima principale: l’innocente e solare Meg. E allora ecco uno sviluppo che procede per accumulo: prima un sentore lontano, poi lievi avvisaglie che diventano i prodromi di un incubo che pare senza fine. L’accumulo vale anche per la tensione che si addensa mano a mano, creando, per me è stato così, una sentimento d’angoscioso fastidio. Si viene precipitati nell’orrore, nell’irrazionale e inconcepibile brutalità dell’uomo, di certi uomini; si vorrebbe chiudere il volume, lasciar perdere, ma l’indignazione, unita alla speranza di scorgere uno spiraglio di luce, è più forte. Ketchum mette in scena la fragilità umana, esplicita quel sentimento insito nel profondo che risponde al nome di “paura del diverso”, dimostra quanto l’odio possa diventare una miccia letale soprattutto se a muovere i fili del gioco è un adulto. Adulto ammantato da un’aura quasi mistica e supportato dall’indefessa fiducia di un pugno di ragazzini imberbi che diventano suoi aguzzini. Ruth è la mente, è l’incarnazione del male; in questo senso è assimilabile al Kurtz di Conrad. Lei è la manifestazione dell’insensibilità, della pazzia, nella sua forma primordiale, mostruosa; libera da ogni remora o convenzione. Forse è per questo che il personaggio più colpevole di tutti, non è lei, bensì David; lui è testimone di tutti gli accadimenti e, benché combattuto, non fa nulla! Subisce passivamente, finge di non capire quello che sta capitando e non avverte i propri genitori; quando si decide è troppo tardi. “La ragazza della porta accanto” non ha come obiettivo il trasmettere significati profondi, vuole solo essere uno spaventoso spaccato di ciò che potrebbe nascondersi nell’indole del nostro vicino di casa. Butta in faccia al lettore degli eventi ripugnanti che la morale corrente giustamente riterrebbe impensabili ma già consumatisi in passato. Un testo tostissimo, sgradevole, scomodo, psicologicamente disturbante che sconsiglio ai più poiché potrebbero uscirne disgustati e atterriti (assicuro che provoca un fortissimo, e costante, senso di disagio). Io ne avevo sentito parlar bene, oggi mi domando perché abbia aspettato tanto a leggerlo! Ritengo che Jack Ketchum sia un signor autore, munito della dote di cui difetta la gran parte degli autori moderni: l’autenticità. Chi vorrà provare l’avventura, adesso sa a cosa andrà incontro.
LA RAGAZZA DELLA PORTA ACCANTO (1989)
LA RAGAZZA DELLA PORTA ACCANTO (1989)ultima modifica: 2014-08-07T23:56:25+02:00da
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