CROWS ZERO 2 (2009)

Crows Zero 2Noboru Kawanishi viene rilasciato dal centro di correzione giovanile dopo aver scontato la sua condanna per la morte di Makio, leader dell’istituto scolastico Hosen; ad aspettarlo c’è uno dei capi della Hozen, Matoba, in compagnia dei suoi. Kawanishi fugge e finisce in una zona controllata da Tamao Serizawa, facente parte dell’istituto Suzuran, che ivi staziona con alcuni suoi compagni. Matoba vorrebbe che gli venisse consegnato Kawanishi, ma Serizawa non intende acconsentire anche se ciò potrebbe significare la fine del patto di non belligeranza esistente tra le due scuole. A complicare le cose giunge in loco Genji, scontroso leader dei corvi di Suzuran, ne nasce uno screzio che vede Genji colpire uno degli studenti dell’Hosen; la tregua è rotta, sarà guerra tra le due scuole…

Crows Zero 2” (Kurôzu zero II) è uscito nel 2009 a due anni dal primo, fruttuoso, episodio e, come il precedente, ha prodotto inebrianti fuochi d’artificio! Il poliedrico Takashi Miike torna a incrociare la propria strada con quella del manga omonimo di Hiroshi Takahashi riprendendo esattamente da dove aveva interrotto: la battaglia per la supremazia nell’istituto Suzuran aveva arriso a Genji che, stavolta, dovrà vedersela coi furenti rivali della Hosen comandati dal temibile Narumi Taiga. Anche in questo episodio incontreremo i vari Serizawa, Izaki, Tokio e Makise ai quali si aggiungeranno nuovi antagonisti del carisma di Ryo e Tatsuya (che però non combatterà mai); dimenticavo, torna anche Rindaman (chi ha visto “Crows Zero” sa bene di chi parlo). Quindi, ancora una volta, si ripeterà il semplice, ma efficace, canovaccio che vedrà affrontarsi due scuole rivali (per non confondere il disattento pubblico occidentale si è provveduto a dotare la Hosen di eleganti divise grigio chiaro, contrapposte a quelle scure della Suzuran) a suon di micidiali e spettacolari pugni per ottenere il prestigio assoluto. Chiariamo subito che la pellicola non ha alcuno scopo didattico ed è priva di qualsivoglia inserto sentimentale, riproduce fedelmente un manga di successo e funziona incredibilmente bene sul piano dell’intrattenimento. Miike dimostra d’essere in ottima forma, infonde nel girato diversi elementi che lo caratterizzano e riesce a creare un film decisamente lineare nella successione dei fatti, conferendogli un gran ritmo nei momenti più concitati, il tutto in coerenza con le aspettative dello spettatore (lo svolgimento è di facile comprensione anche per chi non avesse visto il primo episodio). Forse, volendo cercare difetti, si può affermare che le scene di raccordo non sono molto incisive, utili solo per passare da una parte di forte impatto ad un’altra; in più la modalità di combattimento, dopo che la si è vista una volta, risulta piuttosto ripetitiva (ma pur sempre gradevole). Sono completamente assenti i personaggi femminili (Meisa Kuroki è visibile per non più di 5 minuti) e i momenti di taglio introspettivo; le molteplici parti d’azione sono di sicuro appeal e la gustosa battaglia finale, stavolta senza pioggia, riecheggia quella del primo capitolo (a sua volta ripresa dal ragguardevole “Fudoh: the new generation”, girato da Miike nel 1996), con una differenza, stavolta ci si sposta dal brullo campo all’esterno della scuola sino al tetto dell’edificio, seguendo uno schema che ricorda la pagoda di Bruce Lee (“L’ultimo combattimento di Chen”, 1972).

Istituto Hosen

Istituto Hosen

La pellicola è ambientata in una sorta di “”bolla ideale”, entro cui i ragazzi fluttuano e che è proibita agli adulti (non sono mai mostrati professori o genitori, con l’eccezione del padre di Genji, capo yakuza, che è protagonista di una storia molto marginale). Questi giovanotti, tutti sicuri di sé, innocenti e bellocci, perseguendo un ideale che può aver valenza solo a quell’età, sono sempre pronti a darsele di santa ragione, incuranti del sangue che tinge le divise e del pugno che deturpa i loro visi immacolati. C’è un qualcosa di giocoso negli scontri, i colpi inferti sono enfatizzati per farli sembrare esiziali ma non provocano danni mortali e nessuno muore; la violenza, quella vera e brutale, complemento del mondo adulto, è assente. Ottimo l’incipit munito delle usuali sequenze “illustrative” cui Miike ci ha abituato, discreti gli inserti musicali rock-pop, buone le prestazioni di Shun Oguri (che aveva brillantemente interpretato Sasaki Kojiro nell’opera teatrale “Musashi”) e Gô Ayano. Una pellicola intrigante che lambisce i confini dell’epica, un “guilty pleasure” lungo 133 stuzzicanti minuti che, insieme al primo capitolo, costituisce un imperdibile dittico di sfrontata vivacità. I maschietti saranno esaltati da questa perla giapponese.

VOTO 7,5

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5 FILM NOIR anni ’60 – ’70 da vedere!

Questa volta ho deciso di prendere in considerazione il noir: genere assai complesso e composito, nato negli anni ’40 negli Stati Uniti; nei decenni ha subito diverse mutazioni (in futuro sarà il caso di far due paroline su Johnnie To) e ha contaminato molteplici generi. La codificazione promulgata dalla critica ufficiale (in particolar modo quella francese) è concorde nell’assegnare al noir alcune caratteristiche specifiche come  un perenne senso di pessimismo, pervaso da angoscia esistenziale, inserito in un contesto tragico e disincantato abitato da detective, ladri disperati, antieroi, dark lady e uomini senza speranza. Buio, fumo, nebbia, pioggia e oscurità sono gli elementi visivamente ricorrenti. Quel che più m’interessava era il noir pre-anni ’80, ovvero prima dello spostamento da un connotazione di matrice “empatica” ad un’altra prevalentemente “estetica”. Ecco i 5 migliori film noir anni ’60 – ‘70 che meritano una visione; al solito tengo a specificare che si tratta di una top assolutamente personale! L’ordine è dato dall’anno di rilascio:

 

Il corridodio della paura1 – Il corridoio della paura (Shock Corridor, 1963) di Samuel Fuller

Di Samuel Fuller (autore assai amato da Truffaut) e del suo “Shock Corridor” non si parla mai abbastanza: sceneggiatore e scrittore di libri gialli, realizzò, nell’anno di grazia 1963, un’opera memorabile, lisergica e claustrofobica. Il film, ispirato a una storia vera, narra la vicenda di Johnny Barnett, audace giornalista che s’introduce, fingendosi malato di mente, in una casa di cure psichiatriche per provare a risolvere un caso d’omicidio (metodo molto ardito per arrivare all’agognato premio Pulitzer). La pellicola appare molto “essenziale”, quasi grezza, infatti è dotata di un’immediatezza stordente benché nasconda colte parentele con svariati temi (Fuller dichiarò che questo è un film sull’odio). L’indovinata costruzione di certe sequenze, il ritmo incalzante, l’efficace esposizione della discesa nella disperazione, la presenza di immagini oniriche e la pregevole rappresentazione degli ospiti del manicomio, rendono la pellicola un “must see”!

 

Le Samourai 19672 – Frank Costello faccia d’angelo (Le Samouraï, 1967) di Jean-Pierre Melville

Probabilmente il mio prediletto nella cinquina. Capolavoro del polar (acronimo che sta per poliziesco-noir) firmato da un regista enorme ma poco conosciuto dalle masse, il francese Jean-Pierre Melville. Già dal titolo originale, “Le Samouraï”, è chiaro l’omaggio a Kenji Mizoguchi. Il protagonista e’ un killer silenzioso, solitario e metodico, interpretato da un clamoroso Alain Delon (Jeff Costello in originale; il motivo per il quale sia diventato Frank  nella versione italica mi sfugge). La sua impervia vicenda si dipanerà inesorabilmente sino al palpitante finale. Un film asciutto, raccolto, immerso in un’atmosfera malinconica ed elegante, d’incredibile impatto. Le gesta di Costello sono intrise di un lirismo disperato e mai come in questo film si potrà assistere al confronto/scontro tra realtà circostante ed essenza interiore. Un personaggio misterioso ed affascinante che resta impresso nella memoria.

 

La mia droga si chiama Julie 19673 – La mia droga si chiama Julie (La sirène du Mississippi, 1969) di Francois Truffaut

Da un francese all’altro. Tratto dall’omonimo romanzo giallo del rinomato autore americano Cornell Woolrich, rappresenta una pregevole incursione noir dell’immenso Truffaut. Fu assai criticato quando uscì poichè non venne compresa la visione dolor0samente appassionata che il regista mise in scena per illustrare una delle innumerevoli sfumature del sentimento amoroso. La storia tratta di una coppia (un Jean – Paul Belmondo intrigante e una sublime Catherine Deneuve) conosciutasi tramite corrispondenza la quale, giunto il momento dell’incontro,  non si riconosce come tale poiché uno dei due non pare essere quello che l’altro credeva… Costumi e fotografia sontuosi, solita sagacia tecnica di Truffaut nel movimento di macchina e grande abilità nella costruzione dei dialoghi sono i punti forti di questo lungometraggio. Un’imprescindibile storia d’amore e morte raccontata con estremo garbo.

 

Il lungo addio 19734 – Il lungo addio (The long goodbye, 1973) di Robert Altman

Per vantarne la grandezza basterebbe dire che la sceneggiatura fu affidata alla fulgida regina del “planetary romance”, nonché mia scrittrice prediletta, Leigh Brackett. Pellicola tratta da un romanzo omonimo del leggendario Raymond Chandler, si configura come un sentito omaggio all’iconica figura del coriaceo Philip Marlowe, ovvero l’investigatore per antonomasia. Lo struggente saluto a Marlowe sancisce, nelle intenzioni di Altman, l’addio a un intero genere e modo ci concepire il cinema. La trama è abbastanza complessa e si dipana in maniera rigorosa coadiuvata da scene fotografate magnificamente e inquadrature ardite di ottima fattura.   Il tocco ironico e sarcastico conferito a Marlowe (interpretato ottimamente da Elliott Gould) dona un’aura malinconica e suggestiva alla pellicola. Io non mi perderei questa brillante e originale rilettura di un mito letterario.

 

Chinatown-poster-204x3005 – Chinatown (1974) di Roman Polanski

Grande lavoro del maestro Roman Polanski che porta a un’evoluzione del genere che infatti prenderà il nome di neo noir. Un detective, un misurato Jack Nicholson molto ben calato nella parte, è protagonista di cupi e complessi intrighi comprensivi di inspiegabili omicidi atti a coprire una losca speculazione edilizia. Pellicola elegantissima per merito di una fotografia e di un reparto costumi impeccabili. Polanski, sceneggiato egregiamente da Robert Towne (che raccolse l’unico Oscar assegnato al film degli 11 cui era candidato), tinteggia con precisione e raffinatezza il ritratto di una società apparentemente irreprensibile che nasconde del marcio sotto il tappeto. Nel cast mi preme segnalare la presenza di un’algida Faye Dunaway. Un sontuoso noir “sotto il sole”, non facilissimo da seguire ma godibilissimo da vedere.

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La Dama sconsiglia: ANGELI E DEMONI di Dan Brown

Immagine DamaLa Dama è una preziosa amica, formidabile consumatrice di libri ma anche autrice di leggiadre poesie e racconti. Ha acconsentito a mettere a mia disposizione la sua penna mordace e lancerà strali verso le opere che ha detestato; questo è il risultato per il mese di maggio: 

Questa volta è il turno de “Angeli e Demoni” (2004) di Dan Brown

Angeli e Demoni 2004Ho da poco visionato il mediocre film di Ron Howard e, per pura curiosità, ho deciso di leggere anche il libro di Dan Brown da cui è tratto. Non che mi aspettassi granché (ho già avuto modo di criticare Dan Brown  per il suo “Il codice da Vinci“), ma questo tipo di lettura mi è servita ancora una volta per domandarmi secondo quali criteri gli editori fanno le loro scelte di pubblicazione, perché veramente, dopo innumerevoli libri e diverse schifezze lette, ancora non sono riuscita a capirlo. Questo romanzo tutto sommato lo trovo utile per i giovani scrittori o aspiranti tali, utile per far capire loro come sia l’anti-letteratura, a quale modello non si devono assolutamente ispirare per i loro futuri manoscritti… “Angeli e Demoni” non è un thriller, non è un romanzo storico, non è un romanzo d’azione, è solo un cumulo di parole e di situazione messe lì, a casaccio, con evidenti errori annessi e connessi. La trama, per chi non avesse visto il film di Ron Howard (che non consiglio, tra l’altro), è questa: un uomo viene trovato assassinato in un luogo a noi sconosciuto. La scena si sposta a casa di un altro uomo che viene svegliato nel cuore della notte da una telefonata. E’ il professor Langdon (già protagonista del primo lavoro di Brown), esperto in simbologia. Coloro che lo stanno disturbando a quell’ora sono i membri del CERN, il Centro Europeo per la Ricerca Nucleare, per indagare sul morto di cui ho accennato sopra e su un simbolo che l’uomo porta sul petto, una croce marchiata a fuoco. Langdon capisce subito che quella croce altro non è che il simbolo degli Illuminati, un’antica setta di scienziati che si opponevano alla Chiesa e alle loro leggi e di cui si dice ne facesse parte anche Galileo Galilei. Il problema sta soprattutto nel fatto che l’uomo misterioso, oltre all’avere ucciso un innocente, si è portato via dal centro anche un campione di antimateria dalla potenza di oltre venti megatoni e ha tutta l’intenzione di andarlo a gettare a Roma, distruggendo così l’intero Stato del Vaticano. La questione (e la scena) si sposta così nella Città del Vaticano dove, oltre l’allerta per l’antimateria, si concretizza un altro grave problema, la morte sospetta del Papa in carica con sequestro di quattro cardinali. L’esimio professor Langdon, aiutato dalla figlia adottiva dell’uomo assassinato (che era un sacerdote-scienziato) dovrà risolvere tutto questo patatrac prima che l’antimateria esploda sulla città eterna…

Dan BrownA primo impatto la trama sembra più che interessante, ma ciò che francamente rende in seguito tutto ridicolo sono le situazioni surreali che si vengono a creare unite alla scrittura di Dan Brown, che non si capisce bene perché abbia deciso di trasformare un normale romanzo d’azione (o se proprio vogliamo trovargli un altro genere drammatico) in una sorta di thriller fantascientifico con punte di assurdità tali che non si vedono nemmeno in un film di pura demenza come “L’aereo più pazzo del mondo” (come per esempio l’aereo che vola a una velocità di 15.000 chilometri all’ora, oppure strappare pagine da un libro contenuto nell’inaccessibile Biblioteca Vaticana o portarsi via un libro originale risalente al 1600 senza che nessuno dica nulla… cose al limite dell’assurdo e dell’incredibile… un minino di razionalità ogni tanto ci vuole, eh…). E poi c’è Roma con le sue inverosimiglianze, tipo il gettare un cardinale legato mani e piedi nella Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona senza che nessuno se ne accorga (ma per favore!). E ancora, lo ribadisco, c’è lo stile di Dan Brown che sembra più da giornalista che da scrittore puro, troppo lineare, troppo noioso, senza un briciolo di poesia e stile, assolutamente freddo, asettico e impersonale; tralasciando poi il fatto che ti anticipa tutto ciò che accadrà da lì a trecento pagine dopo (ma non dovrebbe essere un thriller dove il nome dell’assassino non si dovrebbe sapere fino all’ultima pagina? Mi sa che c’è qualcosa che non va…). Il finale poi… lasciamo perdere, oltre che assurdo è privo di ogni passionalità. Codesto romanzo è l’equivalente di un manuale del non scrivere, che tratta temi come il rapporto tra la religione e la scienza in modo assolutamente superficiale e scolastico, con uno spunto iniziale che poteva anche essere interessante, ma poi viene rovinato da inutili colpi di scena e da uno stile non appropriato a questo genere narrativo. Non solo lo sconsiglio, ma sconsiglio proprio l’autore… se siete interessati al genere thriller, di scrittori che fanno al caso vostro ce ne sono a bizzeffe. Bocciato senza appello!

Voto: 4

 

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DYLAN DOG – Vittima degli eventi

Dylan Dog - Vittima degli eventiPer chi, come me, è transitato dalla fine degli anni ’80 all’inizio degli anni ’90 (questo fu il periodo di massimo fulgore)  appassionandosi nella lettura degli albi del leggendario Dylan Dog, indagatore dell’incubo marchiato “Bonelli Editore”, la notizia non potrà che far piacere: è stato ufficialmente fissata per ottobre di quest’anno l’uscita del film “Dylan Dog – Vittima degli eventi”. Ma di cosa si tratta? Andiamo per ordine: “Dellamore dellamorte”(1994) di Michele Soavi era un buonissimo prodotto (chi non l’avesse visto lo recuperi) che utilizzava splendidamente le atmosfere “dylandoghesche” ma si limitava a un esiguo numero di riferimenti al personaggio creato da Tiziano Sclavi (il protagonista, Francesco Dellamorte, era interpretato da Rupert Everett il quale diede le proprie fattezze al Dylan Dog cartaceo). A esso seguì una produzione americana imperniata sulla figura dell’indagatore dell’incubo; i fans, tra i quali io, cominciarono a fregarsi le mani. Lo sfregamento ebbe breve durata; nel 2011, infatti, transitò nelle sale italiane “Dylan Dog- Il film” (Dylan Dog: Dead of Night), regia di Kevin Munroe. Una “roba”, non mi sovviene un termine più adatto per definire la pellicola, d’invereconda bruttezza e sciatteria. Mille i problemi di copyright (niente Londra ma New Orleans, niente Groucho, niente Maggiolino bianco, niente ispettore Bloch!), il mite Dylan trasformato in un forzuto marines (l’inespressivo  pupazzone Brandon Routh) invischiato in una guerriglia tra vampiri e licantropi, nulla la comprensione del materiale cartaceo di riferimento; una schifezza indegna che stuprava l’iconico personaggio di casa Bonelli.

Dylan Dog

Partendo da questi presupposti due indomiti “guerrieri del web”, Claudio Di Biagio (alla regia) e Luca Vecchi (alla sceneggiatura), hanno deciso di imbarcarsi in un pregevole progetto, “Dylan Dog – Vittima degli eventi“: il primo tentativo italiano di una certa importanza di crowdfunding. Tramite il popolare sito internet indiegogo è partita una campagna di raccolta fondi necessaria al finanziamento della pellicola. I fans, ricompensati n vari modi, hanno risposto in maniera molto positiva e la pazza idea si è concretizzata. Lo scopo era quello di realizzare un prodotto di qualità che conferisse dignità a personaggio e storia. Il tutto assolutamente no-profit. Ciò ha permesso di sorvolare su permessi Dylan Dog - Vittima degli eventi 2e copyright. Forse gli integralisti potrebbero storcere il naso: Dylan parrebbe più basso di Groucho, si è scelta Roma (motivi di budget) piuttosto che Londra, le basette di Dylan sono più corte; ma il lavoro pare fatto con assoluta passione e professionalità e la nuova “reinterpretazione” del personaggio non mancherà di sfoggiare il famoso clarinetto, il campanello che urla, la targa fuori dalla porta, la Mini, l’interno casa vetusto, “Groucho la pistola!”, “Giuda ballerino” e “Groucho: sei licenziato!”. Tra i personaggi principali del fumetto saranno presenti: un divertentissimo Groucho (quantomeno dai teaser così sembrerebbe), l’ispettore Bloch, madame Trelkovski, H.G.Wells, Hamlin e il suo mistico negozio, il Safarà. Nel cast si segnala la presenza di Alessandro Haber (Bloch) e di Milena Vukotic (Trelkovski); Groucho è interpretato dallo stesso Vecchi. Il regista ha dichiarato che le atmosfere vorrebbero essere un richiamo e un omaggio ai lavori dei maestri del thrilling italiano: Dario Argento, Aldo Lado, Pupi Avati , Lucio Fulci, ecc. Dalle immagini disponibili lo spirito del fumetto parrebbe egregiamente rispettato e ciò permetterebbe di sorvolare su alcune prove attoriali che paiono di livello non eccelso. Il mediometraggio (stiamo parlando di poco meno di 60 minuti), presentato col favore del pubblico lo scorso aprile al Film Forum Festival di Gorizia e Udine, sarà trasmesso gratuitamente su Youtube a partire da ottobre. Per essere un film totalmente indipendente ce n’è di che festeggiare, no?

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IL VIAGGIO IN OCCIDENTE di Wu Cheng’en

Il viaggio in OccidenteIl viaggio in Occidente”, scritto nel 15° secolo, è uno dei quattro grandi romanzi classici cinesi; originariamente anonimo è stato successivamente attribuito all’esimio letterato Wu Ch’eng-en. L’opera è il risultato di un enorme lavoro di amalgama di leggende, cronache, proverbi popolari, testi teatrali e racconti orali. La vicenda vede protagonista il monaco Tripitaka in viaggio verso l’India (l’Occidente del titolo) per procurarsi dei sacri testi buddisti che dovrà riportare nel suo paese per diffondere la propria religione. Durante la sua peregrinazione verrà accompagnato da singolari figure di matrice fantastica: uno sciommiotto (divenuto talmente celebre che ha dato vita a famosissimi personaggi di manga/anime come il Monkey nato dalla matita del maestro Osamu Tezuka e il Goku di “Dragon ball”), un porcellino antropomorfo e un demone fluviale (chiamato Sabbioso). Tutta l’operazione è fruibile a molteplici livelli poichè le incredibili e grottesche vicende dei personaggi protagonisti investono sfere di diverso tipo (religione, satira, storia, folklore, allegoria) che si sviluppano in un complesso quadro di rara beltà e profondità. Quindi è possibile affrontare il testo come una semplice storia avventurosa, come iniziazione e studio dell’entità religiosa, come acuta analisi antropologica, come un’immensa giostra satiricheggiante o come immersione nella cultura cinese.

9788817189422gLe uniche edizioni esistenti sono: quella, assai rara, col marchio Einaudi, vecchia di molti anni; quella della Rizzoli del 1998, munita di elegante cofanetto ma che riproduce solo il 69% del romanzo originale e “Lo scimmiotto” della Adelphi (1971, ultima ristampa 2002), versione assai condensata e incentrata sui capitoli dedicati alla scimmia che accompagna Tripitaka . Ad esse era seguita un’edizione della Cerebro, anche lei incompleta, assolutamente irreperibile. Da pochi mesi, e tutto il merito va ascritto alla Luni Edittrice, è disponibile una nuova edizione: “Il viaggio in Occidente“, il numero 41 della sua collana “Grandi pensatori d’Oriente e Occidente”. Da quel che mi risulta è la versione più completa mai realizzata; i tomi sono due, ben 1600 pagine totali, tradotti dall’ottimo Serafino Balduzzi. Il prezzo è piuttosto elevato (60 euro) ma il prodotto è di indubbio valore e non può mancare nelle librerie (soprattutto) di chi si professa cultore del fantastico. Non posso non segnalare l’esistenza di una recentissima (2013) e splendida riduzione cinematografica cinese del talentuoso Stephen Chow intitolata “Journey to the West”.

“Il viaggio in Occidente” – di Wu Chengh’en – collana Grandi pensatori d’Oriente e Occidente , Luni editrice, pagine 1600, 2 volumi 60 euro.

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La Dama sconsiglia: SURVIVOR di Chuck Palahniuk

Immagine DamaLa Dama è una preziosa amica, formidabile consumatrice di libri ma anche autrice di leggiadre poesie e racconti. Ha acconsentito a mettere a mia disposizione la sua penna mordace e lancerà strali verso le opere che ha detestato; questo è il risultato per il mese di aprile:

Questa volta è il turno di “Survivor” (1999) di Chuck Palahniuk

“E ci sono talmente tante cose che vorrei cambiare ma non posso”

SurvivorAustralia.
Un aereo sta precipitando. Un uomo, Tender Branson, ultimo membro sopravvissuto di una setta, racconta la sua rocambolesca storia alla scatola nera dell’aereo che sta precipitando.
In un delirio continuo, Tender racconta tutti i particolari della sua vita, specie di quando viveva in una comunità creata dalla sua setta, completamente ignaro dell’esistenza di un mondo al di fuori di quella realtà così chiusa; poi ci descrive il suo lavoro di maggiordomo presso una benestante famiglia, di suggeritore di galateo, di istigatore telefonico al suicidio.
Le strambe e insolite vicende della sua vita raggiungono il culmine quando rimane l’unico superstite al suicidio di massa dei membri della setta di cui dicevamo prima… da quel punto in poi le cose cominceranno a precipitare ulteriormente, spingendo il povero Tender a un gesto più che estremo…

Chuck Palahniuk

Chuck Palahniuk

Survivor” è il primo libro del tanto celebrato Palahniuk che leggo e devo dire che ne sono rimasta un po’ delusa.
Tutti descrivono il creatore di “Fight Club” come un genio, ma di geniale in questo libro, detto con sincerità, non ho trovato quasi nulla: ho letto una storia banale, piena di esagerazioni,  scritta con i piedi e con una retorica finale che ho trovato solo inutile fine a se stessa (in questo mi ha ricordato un po’ Baricco).
Spunti e personaggi interessanti ci sono, non lo posso negare, ma potevano essere sviluppati meglio(come per esempio la figura di Fertility).
L’unica nota positiva è che si legge bene, è molto scorrevole, ma davvero io non vi ho trovato nulla di interessante o originale, un libro gradevole ma niente di che, lontano anni-luce da quel capolavoro lodato da molti.
Palahniuk sarà indubbiamente un autore di grande talento e originalità, ma ho come la netta sensazione, pur non avendolo mai letto prima d’ora, che sia uno di quei tanti autori in grado di scriverti un solo libro degno di nota in tutta la carriera (quelli per la serie “Paganini non ripete”, tanto per intenderci…) e per me, autori così, sono sopravvalutati, per quanto geniali possano essere.
Non lo so, è una sensazione che mi ha dato… ovviamente posso anche sbagliarmi, ma la penso così.

Voto: 5

 

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The Good, the Bad, the Weird: “THE RAID” (2015)

The RaidDomani, in quel di Udine, comincia il notevolissimo FEFF, ovvero il Festival di cinema asiatico più importante d’Europa. Tra le varie chicche di quest’anno (e qui piccola digressione poichè  mi preme segnalare la proiezione di sei film restaurati del maestro Yasujiro Ozu) si segnala la presenza del film indonesiano “‘The Raid 2: Berandal’“, esplosivo sequel del super action “The Raid: Redemption“. Quest’ultimo uscì nel 2011 suscitando grande clamore presso critica e pubblico. Il regista era il gallese, ma trapiantato in Indonesia, Gareth Evans e il prodotto era qualcosa di scoppiettante; divenne subito un cult. Film per maschietti con moltissima azione e scene di arti marziali coreografate come mai s’era visto. La storia vedeva un gruppo di selezionati poliziotti assaltare un malfamato palazzone nei sobborghi di Jakarta per mettere fine ai loschi traffici di un malavitoso locale. La conquista di ogni piano si rivelerà assai ardua (c’è un combattimento tra Mad Dog,  tirapiedi del boss, e i due fratelli protagonisti che è leggendario).

The Raid 2Il pubblico americano non si è ancora ripreso dalla visione del secondo capitolo (negli USA è passato nelle sale a fine marzo) che la Screen Gems, lesta a procurarsi i diritti, ha annunciato l’avvio di un remake del primo episodio. La notizia potrebbe avere contorni funesti, anche perché una domanda sorge spontanea: che bisogno c’era di un remake? In più si aggiunga che a un accorto osservatore non possono essere sfuggiti i danni perpetrati negli ultimi anni da Hollywood nei confronti degli originali orientali oggetto di remake/reboot molto spesso indegni (qualcuno ha detto “The Ring” (2002) – “The uninvited” (2009) – “Riflessi di paura”  (2008)  ?). Però qualcosa di buono c’è: Gareth Evans è nella produzione esecutiva, quindi la sua impronta dovrebbe essere visibile, ed è stato ingaggiato l’intero comparto che si è occupato delle coreografie marziali di “The Raid: Redemption“. La sceneggiatura dovrebbe essere portata a termine dal giovane Brad Ingelsby mentre per la regia è stato assoldato lo sconosciuto, o quasi, Patrick Hughes (responsabile di quella brutta “cosa” che era “Red Hill“, 2010; ha appena finito di girare “I mercenari 3“, 2014). Come sempre in una fase tanto incipiente del progetto, esprimere un pronostico è molto difficile, tantissimo dipenderà dal piglio che si vorrà imprimere alla vicenda e dall’attenzione con cui verranno gestiti i consigli che verranno dati da Evans.   

The Raid scena

Previsione:

NOT SO BAD

 

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Gabriel GARCIA MARQUEZ 1927 – 2014

Gabriel Garcia MarquezGli organi d’informazione colombiani, suo paese d’origine, sono stati i primi a diffondere la notizia: lo scrittore e giornalista Gabriel Garcia Marquez, premio nobel per la letteratura nel 1982, è deceduto ieri a Città del Messico. I media riportano che la causa della morte è da ascrivere all’aggravarsi di una polmonite. Aveva compiuto da poco 87 anni. Nella sua vita è stato giornalista dal piglio verista; s’è ritrovato straniero in terra straniera in Europa, prima a Roma poi a Parigi, nel momento in cui ebbe qualche problema di “comunicazione” con il dittatore colombiano Pinilla; divenne anche un grande amico di Fidel Castro e simpatizzante del leader venezuelano Chavez. La notizia è di portata mondiale poiché dopo la recente scomparsa di Ray Bradbury era, insieme a Milan Kundera, l’unico grande scrittore vivente del ‘900. La fama mondiale arrivò per lui nel 1967, anno della pubblicazione del celeberrimo “Cent’anni di solitudine“, magnifico romanzo che inaugurò la via del “realismo magico” e diede grande impulso alla scoperta della letteratura sudamericana. Lo spunto per l’avvio di questa nuova corrente ha radici lontane e insospettabili, ovvero gli scritti del padre dei romantici, il teutonico E.T.A. Hoffmann. Marquez, influenzato Cent'anni di solitudine 1967dalla complessa scrittura di William Faulkner, declina il tutto in maniera molto personale inserendo elementi tipici della cultura e tradizione locale narrati con un linguaggio fresco, avvincente, nostalgico, a volte semplice, a volte ricercato e denso di simboli. Il villaggio di Macondo e l’epopea della famiglia Buendia sono incisi a fuoco nel libro immaginario dei grandi luoghi e personaggi letterari: al loro fianco si possono scorgere Davos, la fortezza Bastiani, Combray e i vari Hans Castorp, Giovanni Drogo, Albertine, Raskol’nikov. Tra le sue opere più conosciute non si possono non ricordare: “Nessuno scrive al colonnello” (1961), “L’autunno del patriarca”  (1975), “Cronaca di una morte annunciata” (1981) e “Dell’amore e di altri demoni” (1994).

Dal suo discorso di ringraziamento per il Nobel: “Noi inventori di favole, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non e’ ancora troppo tardi per intraprendere la creazione di una moderna e sconvolgente utopia della vita, dove nessuno possa decidere per gli altri addirittura il modo in cui morire, dove davvero sia certo l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cento anni di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla terra” 

Gabriel José de la Concordia Gabriel Marquez, giornalista e scrittore, nato il 6 marzo 1927; morto il 17 aprile 2014

 

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Tombe letterarie, ove riposano scrittori e poeti

Quando viaggio c’è sempre una tappa imprescindibile in ogni città importante che visito, quella al cimitero. Amo visitare i cimiteri monumentali spesso ricchi di sculture mirabili e di tombe di personaggi illustri. Questo è il motivo che m’ha spinto a creare un articolo in cui inserire un elenco di cimiteri, soprattutto europei (perché la gran parte degli autori giace nel vecchio continente), corredato dai nomi degli eminenti scrittori che vi giacciono. La lista non vuole assolutamente essere esaustiva ma un modesto promemoria per future peregrinazioni. Ho cercato di inserire i più famosi narratori/poeti che non abbiano scelto di far disperdere le loro ceneri in mare (Robert Musil, H.G. Wells, Dino Buzzati, Robert Heinlein, ecc) e di cui è stato possibile reperire notizie (la località della tomba di J.D.Salinger è sconosciuta mentre dei resti di Cervantes nemmeno la Spagna conosce l’ubicazione). Mi auguro di non aver infarcito di testo con troppe inesattezze. Ovviamente Francia, Gran Bretagna e Italia fanno la parte del leone però anche la piccola Svizzera presenta sorprese inaspettate.

Cimitero Monumentale - Milano

Cimitero Monumentale – Milano

SVIZZERA: uno scrittore a me molto caro è Robert Walser (“Jakob von Gunten”, 1909), la sua tomba è sita ad Herisau nel Canton Appenzello Esterno, nei pressi del lago di Costanza. Nel cimitero di Plainplais, Ginevra, troviamo invece la tomba dell’argentino Jorge Luis Borges (“Finzioni”, 1935-44). Nel cimitero di Fluntern a Zurigo dimorano il poeta bulgaro Elias Canetti e il grande autore irlandese James Joyce. Sempre nei pressi di Zurigo, ma nel cimitero di Kilchberg, è sepolto un grandissimo della letteratura mondiale, il teutonico Thomas Mann (“La montagna incantata”, 1924). Nel cimitero di Raron, vicino Sion, c’è la tomba del poeta austriaco di origini boeme, Rainer Maria Rilke (suo le delicate “Elegie duinesi”, 1923). Nel canton Vaud, vicino a Losanna, ci sono due cimiteri interessanti: uno a Corsier-sur-Vevey che ospita il britannico Graham Greene (“Un americano tranquillo”, 1955), l’altro a Clarens- Montreaux ove giace Vladimir Nabokov. In canton Ticino, nella piccola cittadina di Ronco sopra Ascona, vicino al lago Maggiore, c’è la tomba di Erich Maria Remarque (“Niente di nuovo sul fronte occidentale”, 1929). Sempre in canton Ticino, c’è l’ultimo luogo svizzero da segnalare, il cimitero della chiesa di San Abbondio a Montagnola; qui è interrato uno scrittore assai quotato, Hermann Hesse.

Cimitero di Père-Lachaise - Parigi

Cimitero di Père-Lachaise – Parigi

FRANCIA: la sola Parigi possiede ben 20 cimiteri, 14 interni e 6 esterni; il numero e la qualità degli autori presenti nei suoi cimiteri è impressionante. Il cimitero di Montmartre a Parigi ospita Alexandre Dumas figlio (“La signora delle camelie”, 1848), Stendhal e il poeta tedesco Heinrich Heine. Nel cimitero di Montparnasse, sempre a Parigi, giacciono illustrissimi personaggi: Marguerite Duras (“L’amante”, 1984), Jean Paul Sartre e la sua compagna Simone de Beauvoir, Pierre Louys (“Afrodite”, 1896), Charles Baudelaire, Eugene Ionesco, Joris Karl Huysmans (“Controcorrente”, 1884), Guy de Maupassant, il fecondo maestro moderno del racconto, ovvero Julio Cortázar e il drammaturgo irlandese Samuel Beckett. In quello che è probabilmente il cimitero più famoso al mondo, il Père-Lachaise, troviamo: Moliere, il nobel guatemalteco Miguel Angel Asturias, Honorè de Balzac, la divina Colette, la poetessa americana Gertrude Stein, il fondamentale, per lo sviluppo del romanticismo, Charles Nodier (“I demoni della notte”, 1832), il poeta Gerard de Nerval, l’immenso Marcel Proust e l’istrionico Oscar Wilde. In Parigi città, nell’imponente struttura neoclassica che porta il nome di Pantheon, oltre alla targhe commemorative (di autori seppelliti altrove), troviamo le tombe di: Jean Jacques Rousseau, André Malraux (“La condizione umana”, 1933), Voltaire, Emile Zola (anche se la sua tomba a Montmartre non è stata dismessa), Victor Hugo e Alexandre Dumas padre. A Thiais, cimitero extracittadino di Parigi, sono sepolti lo scrittore austro-ungarico Joseph Roth (“La cripta dei cappuccini”, 1938) e lo scrittore russo, precursore del romanzo distopico, Euvgenij Zamjatin. A 7 chilometri da Parigi, nel cimitero di Neuilly-sur-Seine, riposa il nobel Anatole France (“Taide”, 1890). Sempre nei paraggi di Parigi, a Juvisy-sur-Orge, è possibili visitare la tomba del coltissimo Raymond Queneau (“I fiori blu”, 1965). Nel cimitero di Lourmarin in Costa Azzurra c’è la modesta tomba di un altro premio nobel, Albert Camus (“Lo straniero”, 1942). Nel cimitero de La Madeleine ad Amiens è sepolto uno dei padri della fantascienza moderna, il prolifico Jules Verne (“Il giro del mondo in 80 giorni”, 1873). Per concludere l’esperienza francese cosa c’è di meglio che un salto sulle frizzanti coste della Normandia? Nel cimitero cittadino della splendida Rouen riposa uno dei miei scrittori prediletti, Gustave Flaubert; a pochi chilometri, nel cimitero di Cuverville, un altro premio nobel, André Gide (I sotterranei del Vaticano”, 1914).

Cimitero Acattolico - Roma

Cimitero Acattolico – Roma

ITALIA: ora un breve salto nella nostra penisola, da nord a sud. Strano a dirsi ma nel cimitero di Casarsa, a pochi chilometri da Pordenone, giace Pier Paolo Pasolini. Nel cimitero cittadino di Trieste, il Sant’Anna, riposa Italo Svevo (“La coscienza di Zeno”, 1923”). Nel cimitero di Santo Stefano Belbo, Cuneo, troviamo Cesare Pavese. Nella piccolissima Arquà, Padova, si può visitare la tomba del Petrarca mentre nel celeberrimo complesso del Vittoriale di Gardone Riviera, in provincia di Brescia, si trova la tomba di Gabriele D’Annunzio. Nel cimitero Monumentale di Milano giacciono: il poeta siciliano Quasimodo, lo scapigliato Ugo Iginio Tarchetti (“Fosca”; 1869), Camillo Boito, Alessandro Manzoni e il futurista Filippo Tommaso Marinetti (“Zang Tumb Tumb”, 1912). Nel cimitero comunale di Montecarlo di Lucca è sepolto Carlo Cassola (“La ragazza di Bube”, 1959); sempre in Toscana, presso Castiglione della Pescaia, riposa l’esimio Italo Calvino. Nel cimitero della chiesa di San Felice a Galluzzo, vicino Firenze, troviamo il poeta Eugenio Montale. Nel centro di Ravenna, accanto alla basilica di San Francesco, c’è un monumento che conserva le spoglie del sommo Dante. Nel cimitero ebraico della splendida Ferrara giace Giorgio Bassani (“Il giardino dei Finzi-Contini”, 1962). Nella tomba di famiglia a Pescina, L’Aquila, sono state tumulate le ceneri di Ignazio Silone (“Fontamara“, 1930). Nel cimitero Monumentale del Verano a Roma sono interrati: Alberto Moravia (“Gli indifferenti”, 1928), Sibilla Aleramo (“Una donna”, 1904), il maestro delle favola italiana, Gianni Rodari, il poeta Trilussa, Natalia Ginzburg (“Lessico famigliare”, 1963) e il poeta Giuseppe Ungaretti. Nel piccolo ma splendido cimitero Acattolico (detto anche “degli inglesi”), vicino alla Piramide a Roma, troviamo delle vere chicche: lo scrittore milanese Carlo Emilio Gadda (“La cognizione del dolore”, 1941) e i grandi poeti inglesi Percy Bysshe Shelley e John Keats. Nel parco Vergiliano di Piedigrotta a Napoli sono conservate le spoglie di Giacomo Leopardi e dell’inarrivabile cantore di gesta antiche, Virgilio. Una tappa in Sicilia è d’obbligo: nel cimitero Monumentale di Catania si può visitare la pietosa tomba, viste le condizioni in cui versa, di Giovanni Verga. Poi occorre spostarsi nei pressi di Agrigento, prima a Racalmuto per visitare la bianca tomba di Leonardo Sciascia (“Il giorno della civetta”, 1961); poi andando verso Porto Empedocle, ci si potrà fermare presso la casa dov’è nato e cresciuto il nobel Luigi Pirandello (“Uno, nessuno e centomila”, 1926), lì, sotto un pino c’è l’urna che contiene le sue ceneri.    

Cimitero Kensal Green - Londra

Cimitero Kensal Green – Londra

GRAN BRETAGNA: nell’abbazia di Westminster, presso l’angolo dei poeti, è sepolta una gran quantità di autori eccellenti: Geoffrey Chaucher (“I racconti di Canterbury”, 1388), Edmund Spenser, i poeti Alfred Tennyson e Robert Browning, Thomas Hardy (“Tess dei D’Urbervilles”, 1891), il nobel Rudyard Kipling (“Il libro della giungla”, 1894) e l’eccelso Charles Dickens. Nel cimitero della chiesa di St. George in centro a Londra è sepolta la profetessa del romanzo gotico, Ann Radcliffe (“Udolpho”, 1794). Nel cimitero più importante di Londra, l’Highgate, riposa la scrittrice George Eliot (“Middlemarch”, 1872). Sempre a Londra, nel crematorio di Golders Green si trovano le ceneri del babbo di “Dracula”, Bram Stoker. Il grazioso cimitero Monumentale londinese di Kensal Green ospita le tombe di Anothony Trollope (“L’amministratore”, 1855), William M. Thackeray (“La fiera delle vanità”, 1848), Wilkie Collins (“La pietra di luna”, 1968) e, anche se non è scrittore, faccio un’eccezione aggiungendo il fantastico pittore preraffaellita John Waterhouse. Allontanandosi un poco da Londra, a Guildford, è sepolto il papà di Alice, Lewis Carroll. A 150 chilometri da Londra, a Minstead, si trova la prosaica tomba di Arthur Conan Doyle. Facendo base a Oxford si possono visitare un gran numero di cittadine site a distanze non elevate che ospitano le salme di personaggi famosi: a Stratford-upon-Avon, dov’era nato, presso la chiesa della Santa Trinità, riposa in eterno il sommo bardo, William Shakespeare. Nel cimitero St. Mary a Cholsey c’è la spartana tomba di Agatha Christie. Nel microscopico cimitero di Wolvercote giace uno dei padri della fantasy moderna, J.R.R. Tolkien. Nel piccolissimo borgo di Sutton Courtenay, nel campo santo della Chiesa di Tutti i Santi, è sita la  malmessa lapide di George Orwell (attenzione, il nome inciso è quello vero, Eric Arthur Blair). All’interno della cattedrale di Winchester è sepolta Jane Austen. Poco distante, nel cimitero della città di Compton, giace Aldous Huxley (“Il mondo nuovo”, 1932). Lì vicino, a Bournemouth, nel cimitero della chiesa di St. Peter, troviamo le spoglie di Mary Shelley (“Frankenstein”, 1818). Ai Bunhill Fields, zona sconsacrata di Londra ove sono sepolti i non appartenenti alla Chiesa d’Inghilterra, troviamo il grande poeta William Blake e il padre del romanzo moderno inglese, Daniel Defoe (“Robinson Crusoe”, 1718). In Irlanda, presso la cattedrale di San Patrizio, dimorano le spoglie di Jonathan Swift (l’avventuroso “I viaggi di Gulliver”, 1726) mentre nel cimitero del villaggio di Drumcliff, contea di Sligo, è stato inumato il poeta, premio nobel, William Butler Yeats. Chiudo con la Scozia: vicino a Edimburgo, nell’abbazia di Dryburg, è sepolto il prolifico romanziere Walter Scott (“Ivanhoe”, 1820).

Cimitero di Highgate - Londra

Cimitero di Highgate – Londra

USA: il territorio è molto esteso quindi non v’è alcuna concentrazione di spoglie famose come in Europa, occorre viaggiare da una costa all’altra. Nel cimitero di Woodlawn, nel Bronx a New York, giace Herman Melville. A Providence, nel cimitero di Swan Point, riposa H.P. Lovecraft (negli ultimi anni i fans han fatto costruire una lapide). Nel cimitero di Cambridge, Massachusetts, troviamo Henry James (“Ritratto di signora”, 1881); sempre nello stesso stato ma a Concorde, nel cimitero di Sleepy Hollow, sono sepolti Nathaniel Hawthorne (“La lettera scarlatta”, 1850), Louisa May Alcott (“Piccole donne“, 1860) e Henry David Thoreau. Nel cimitero di Oxford, Mississippi, si può visitare la tomba del nobel William Faulkner (“Mentre morivo”, 1930). Nel cimitero di Ketchum, Idaho, giace l’inarrivabile  Ernest Hemingway. A Baltimora, Maryland, c’è l’asciutta lapide di Edgar Allan Poe; sempre nello stesso stato, ma nel piccolo cimitero di Rockville, è stato inumato Francis Scott Fitzgerald (“Il grande Gatsby“, 1925). In New Mexico a San Cristobal, presso il Kiowa Ranch sono conservate le ceneri del poeta e scrittore inglese David H. Lawrence (“L’amante di Lady Chatterley”, 1928). In California, nel cimitero di Salinas, riposa il nobel John Steinbeck (“Uomini e topi”, 1938) e al Jack London State Historic Park (prima chiamato Glen Ellen) si trovano le spoglie di Jack London.

Cimitero VarsaviaALTRI: nel cimitero Storico di Weimar, in Germania, c’è la tomba del sommo Goethe. A Berlino, nel quartiere di Kreuzberg, riposa il narratore romantico per antonomasia, E.T.A. Hoffmann (“Don Giovanni”, 1813). Nel bel cimitero di Copenaghen (Assistens), giacciono il famoso creatore di favole, Hans Christian Andersen e il filosofo Søren Kierkegaard. Nella sua tenuta in Cile, a Isla Negra, è sepolto il poeta Pablo Neruda. Nel Nuovo Cimitero Ebraico di Praga a Zizkov giace Franz Kafka. A Vailima, nelle isole Samoa, c’è la tomba di “tusitala”, ovvero Robert Louis Stevenson. Nel cimitero più importante di Mosca, chiamato Novodevičij, riposano un sacco di celebrità: il drammaturgo Anton Cechov (“Zio Vanja” 1899), Nikolaj Gogol’ (“I racconti di Pietroburgo”, 1842), il poeta Vladimir Majakovskij, Michail Bulgakov (“Il maestro e Margherita”, 1867) e il poeta turco Nazim Hikmet. A San Pietroburgo, due i cimiteri da visitare: quello di Volkovskij, ove è sepolto Ivan Turgenev (“Memorie di un cacciatore”, 1852) e quello di Tichvin dove giacciono Nikolaj Michajlovič Karamzin e il più grande di tutti, Fedor Dostoevskij. Infine, poco distante da Mosca, c’è Jàsnaja Poljana, la famosa tenuta di Lev Tolstoj; qui, al limitare del bosco sotto un semplice mucchio di terra, senza lapide, riposa il grande scrittore.

 

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5 LIBRI IMPOSSIBILI, vale a dire libri che vorrei ma non possiedo!

Oggi mi sono imbarcato in un’impresa di non semplice risoluzione, una top assolutamente personale! Quali sono i 5 libri in italiano che non possiedo (vuoi per difficile reperibilità, per costo elevato o per mancanza di traduzione) ma desidererei ardentemente aggiungere alla mia libreria? Parlo di volumi cartacei, niente roba “immaginaria” in formato digitale. Considerate la varie opzioni, ecco i miei 5 libri impossibili (l’ordine è casuale):

 

A strange manuscript found in a Copper Cylinder1 – A strange manuscript found in a Copper Cylinder (1888) di James De Mille

James De Mille, professore e scrittore canadese, ci ha lasciato almeno un’opera degna d’essere ricordata, ovvero “A strange manuscript found in a Copper Cylinder” che in italiano suonerebbe come “Uno strano manoscritto trovato in un cilindro di bronzo”; il condizionale è d’obbligo perché non è stato tradotto nella nostra lingua (lo sarà mai?). Il romanzo, in cui riecheggiano echi del “Gordon Pym” (1838) di E.A. Poe, è ascrivibile al genere del “lost race romance” che fece la fortuna di E. R. Burroughs (il papà di Tarzan), A.Merritt e H.Rider Haggard. Il marinaio Adam More si ritroverà catapultato in un territorio inesplorato vivendo situazioni fantastiche e avventurose. Tutto il narrato è cosparso di una satira corrosiva atta a evidenziare i mali della società di fine ‘800. Diversi elementi saranno successivamente ripresi da Arthur Conan Doyle nel suo “Mondo Perduto” (1912).

 

Zofloya or the moor2 – Zofloya (1806) di Charlotte Dacre

Zofloya” (o “The Moor”)  uscì agli inizi del 1800 e con esso, l’inglese Charlotte Dacre (sulle orme del celebre “Monaco” di M.G.Lewis) diede vita al più popolare tra i suoi romanzi gotici. Il volume, più o meno 300 pagine, narra di oscure vicende che hanno fatto discutere per la loro vena provocatoria e scabrosa, soprattutto nel trattare temi religiosi, sessuali  e razziali (con puntate decise verso un acuto sentimento xenofobo). L’ambientazione italiana e il carattere energico conferito ai personaggi, benché certa critica lo ritenga strutturalmente “debole”, ha contribuito al successo del testo. All’estero ha avuto ottima fortuna mentre in Italia è sconosciuto; infatti non esiste un’edizione nella nostra lingua. E’ un vero peccato ma continuo a sperarci.

 

The complete adventures of Jules de Grandin3 – Jules de Grandin (1925 – 1951) di Seabury Quinn

Seabury Quinn è un autore che ho già avuto modo di menzionare (qui) e sempre in termini entusiastici. Già ho ricordato come sia stato lo scrittore più presente sulla leggendaria rivista “Weird Tales” e il suo indagatore dell’incubo (Jules de Grandin) sia, per me, il “primus inter pares” nella categoria. I 93 racconti che lo vedono protagonista sono stati raccolti in tre bei volumi (ben 1300 pagine) che si possono trovare in lingua inglese (qui a fianco una delle copertine); per l’italiano ci si deve accontentare di una ventina di traduzioni. Avrò mai il sommo piacere di avere fra le mani uno o più volumi che raccolgano tutte le sue gesta? De Grandin si muove in svariati scenari che, di volta in volta, lo portano ad affrontare spaventose minacce che riuscirà sempre a superare con massicce dosi di sagacia e sense of humor. Un must have della narrativa “weird”.

 

Il gatto Murr 19204 – Il gatto Murr (1820) di E.T.A. Hoffmann

Dall’autore simbolo del romanticismo tedesco, il granitico E.T.A.Hoffmann, arriva questo delizioso romanzo dotato di un lunghissimo titolo: “Punti di vista e considerazioni del gatto Murr sulla vita nei suoi vari aspetti e biografia frammentaria del maestro di cappella Johannes Kreisler su fogli di minuta casualmente inseriti” (Lebensansichten des Katers Murr nebst fragmentarischer Biographie des Kapellmeister Johannes Kreisler in zufälligen Makulaturblättern, 1820). Ivi il tormentato maestro di cappella J.Kleisler, alter ego di Hoffmann, tiene un diario al quale il divertente gatto Murr strappa alcune pagine; ciò provocherà un gran disordine nella biografia del nostro, fatto che consentirà irriverenti riflessioni al gattone di casa. Nel 1969 il romanzo era stato incluso in un volume della collana “I Millenni” della Einaudi ed è di difficilissima reperibilità. Da allora il nulla fino a qualche anno fa quando è stato ristampato dai tipi di Mursia nella collana “Felinamente & C” ma mi risulta sia una versione incompleta, ipotesi confermata dall’esiguo numero di pagine (le 310 dell’edizione Einaudi sarebbero diventate 160 in quella della Mursia). L’importante è che io possa metterci le zampe, ehm, le mani sopra prima o poi…

 

genius_loci5 – Genius Loci e altri racconti (1978) di C.A. Smith

C’era una volta… Oltre all’esimia Fanucci, diversi anni fa, esisteva la MEB, una casa editrice di Torino che era stata in grado di regalare diverse opere di un certo interesse al lettore italiano. Un merito enorme era stato quello di aver raccolto una grossa mole di racconti “fantastici” del  mirabile Clark Ashton Smith in quattro volumi. Ashton Smith, oltre che fedele corrispondente del “solitario di Providence”, è stato il creatore di un mondo oscuro e intrigante narrato mediante sfavillanti immagini e colori baluginanti grazie a un modo di scrivere elegante e barocco. Ebbene, il primo dei quattro volumi della MEB a lui dedicati, ovvero il gustoso “Genius Loci e altri racconti” (traduzione fedele dell’omonima raccolta americana), non è mai più stato ristampato (alcuni racconti che ne fanno parte sono dispersi in successive raccolte “tematiche” della Fanucci) e le rare copie che si trovano nei canali dell’usato presentano prezzi che io ritengo decisamente elevati. Sarei felice d’incappare in una botta di fortuna e procurarmi l’ameno volumetto.

 

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